Echi in tempesta, Christelle Dabos, Edizioni E/O

Echi in tempesta o ira funesta?

Echi in tempesta (Christelle Dabos, Edizioni E/O) è il capitolo finale delle avventure di Ofelia e Thorn, il punto fermo del lungo discorso sulla saga dell’Attraversaspecchi.
Ci ho messo un po’ per leggerlo tutto e leggerlo bene. Ci ho messo un po’ anche per fare pace con quello che ho letto.
Avviso che ci saranno spoiler.

Occorre fare una premessa: confesso che La memoria di Babel non mi ha entusiasmata sul finire per un discorso di ritmo, di informazioni poco chiare e di conclusione un po’ troppo in medias res, secondo i miei gusti. C’è però da dire che La memoria è il penultimo libro della tetralogia, ha il compito importantissimo di mantenere alta l’attenzione del lettore e a modo suo, non facendomi capire nulla, è riuscito nel suo intento. Che ci volete fare, mi piacciono i casi difficili.

Giunta finalmente a Echi in tempesta, quindi, forse ho caricato un po’ troppo il libro di aspettativa: credevo che l’arrivo allo scioglimento finale sarebbe stato limpido e liscio come ne I fidanzati e Gli scomparsi. Credevo che nel corso dei tre libri la Dabos mi avesse riempita di indizi che io, sciocca, non ero stata capace di collegare. Speravo (come ogni buona lettrice) che Christelle me l’avesse fatta sotto il naso.
E invece no.

Da un punto di vista puramente narrativo, le mie domande sono le seguenti:
– Era necessario ricorrere agli espedienti degli Echi e del Corno per giustificare la Lacerazione?
– Era necessario ricorrere a quello che sembra un trattato di fisica quantistica in un fantasy già di per sé articolatissimo e quindi ricco di risorse?
– La figura di Elizabeth nel suo ruolo finale è stata un atto di improvvisazione?
– Ha senso inserire sviluppi importanti come quello della discendenza dei protagonisti, visto il finale?

Ecco.
Continuando la mia lettura affogavo nelle domande e man mano che me le ponevo l’immersione in un mondo altro diventava sempre meno totale. Ho avuto la sensazione che Echi in tempesta e molte delle sue conclusioni non fossero qualcosa di studiato ma di improvvisato. Ho giudicato affrettate alcune chiusure, non colloco la necessità di Vittoria così come la malattia di Archibald mi giunge sdentata. Sono arrabbiata, per questo, perché vorrei saperne di più e sapere tutto. Ci ho trovato, in questo quarto volume, una fretta che non ho visto negli altri tre libri. Una fretta che un autore non dovrebbe mai avere (a meno non si parli di Martin. Se sei Martin, muoviti).
Avrei perdonato un’uscita del romanzo nel 2022, ecco.

Parlandoci in modo chiaro: la saga dell’Attraversaspecchi (ed Echi in tempesta in particolare) affronta temi belli e importanti: identità, volontà, presenza del doppio, senso della comunità, accettazione di sé, emancipazione, indipendenza. Tutti elementi che fanno parte dei libri come la struttura intrinseca delle Arche e che si sviluppano a raggiera dal personaggio principale.
Niente e nessuno toglierà a questa tetralogia quello che è il suo valore, unito a una rivalutazione del genere fantasy che finalmente supera i ranghi dell’adolescenza nella considerazione generale.
La crescita di Ofelia e la sua presa di posizione nei confronti di se stessa narrano una battaglia quotidiana che intraprendiamo anche noi ogni giorno, guardandoci allo specchio.
I poteri, le Arche, lo sviluppo di famiglie e la coerenza narrativa che ci vuole per tenere insieme un mondo intero, lacerato e non, rendono la saga dell’Attraversaspecchi in generale un gioiello della narrativa, e questo non si discute.

Tra le cose che non si discutono è anche la scelta del finale.
Lo scrittore non è quello che coccola il fanservice, altrimenti faremmo prima a decidere i finali delle nostre saghe preferite con i sondaggi di Instagram. Su questo mi discosto dal coro e accetto la fine di Echi in tempesta per quella che è. Tuttavia, mi collego alla sequela di domande fatte in precedenza: era necessario introdurre il problema di una discendenza se poi la fine non ha il sapore della fine?

Insomma, spero ancora che qualcuno arrivi dall’alto e mi spieghi perché tutta la mole informativa di Echi è giusta, necessaria e indispensabile. Su questo, la mia mail è sempre disponibilissima e io non vedo l’ora di farmi stregare di nuovo da questo mondo ai fatti bellissimo.

Dal punto di vista culinario, come tradurre tutta questa serie di emozioni nello stile di #readEat?
Vi avevo promesso un pranzo, e magari in attesa di altre ricette per i libri di mezzo vi anticipo il dolce che secondo me incarna Echi in tempesta, l’abbondanza e un po’ l’amarezza.

Ho rivisitato la ricetta dello strudel. Ci ho messo dentro le mele cotte con lo zucchero grezzo di canna e omogenizzate, la pera a pezzettini, la noce per dare croccantezza e ho sbriciolato del cioccolato amaro sperando che nel raffreddamento tenesse insieme il tutto.
Il risultato è stato un po’ come Echi: buono, sovrabbondante e per alcuni versi un po’ slegato, dal sapore non troppo dolce. Cibo che non può stare da solo perché mette sete.

echi in corsia
ho letto questo libro durante la degenza ospedaliera (tra i favori che mi deve il 2020) e devo dire che con tutte le sue contraddizioni e i dubbi, mi ha tenuto compagnia. Anche se l’istinto primario è stato quello di lanciarlo dalla finestra, se non ci fosse stato mi sarei sentita assai più sola. Questo, a conferma di quello che dico sempre: ogni libro arriva quand’è il suo momento.
Per i nostalgici, ecco la recensione dei Fidanzati dell’inverno.

Echi in tempesta, Christelle Dabos, Edizioni E/O
recensione #readEat – libri da mangiare



Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

Rispondi