moreno casciello

al buffet con moreno casciello

Cari lettori mangioni,
oggi abbiamo come ospite un personaggio che sicuramente non la manda a dire, Moreno Casciello, editore di due marchi che sono ospiti ricorrenti nella cucina letteraria di #readEatMilena Edizioni e La strada per Babilonia.

Senza ulteriori indugi, impugnerei forchetta e coltello!

Antipasto
Ciao Moreno, si inizia subito il buffet virtuale con una domanda di riscaldamento e un po’ di rito: Milena e La strada per Babilonia. Come sono nate? Quali scopi si prefiggono?

Milena Edizioni è nata poco più di 5 anni fa dalla mia intolleranza verso le regole della società. Ero stanco di fare l’impiegato, sofferente nel dover osservare regole imposte da un’organizzazione aziendale troppo gerarchica. Nello stesso tempo sono stato sempre convinto che il problema della società moderna, soprattutto italiana, non sia politico (ormai la politica non esiste più), né economico (se affidiamo il nostro benessere al denaro abbiamo perso in partenza).

Il problema è di natura culturale, una totale mancanza di identità, un adeguarsi a una società che non riusciamo a capire perché cambia troppo in fretta, allora ci limitiamo ad accettarla. L’impegno sociale deve essere rivolto in questa direzione: lavorare nell’ambito culturale per lavorare sulla coscienza e consapevolezza delle persone. La strada per Babilonia è nata quasi un anno e mezzo fa perché a me piacciono le sfide, non potevo limitarmi a fare una sola cosa.

Primo
Quindi, se Milena è un’affermazione d’identità, La strada per Babilonia aiuta a costruirsene una, facendosi le ossa? Provocatoriamente, ti chiedo: Moreno, ma sei pazzo? Lo sai che non si legge più!

Certo Milena Edizioni è un’affermazione di identità e lo si vede anche dal nostro catalogo, provocatoriamente monopolizzato da specifiche tematiche. La strada per Babilonia, che ho creato insieme ad Alessandra Monaco, è concettualmente diversa: è più un “servizio”. Un servizio che si offre a giovani scrittori esordienti per riuscire a farsi conoscere. Ma questa stessa ragion d’essere si scontra con la dura realtà: gli scrittori spesso sono i primi che non hanno la volontà di farsi conoscere: i più vogliono solo pubblicare e basta. Farsi conoscere richiede un impegno superiore alla loro volontà.

La stessa inerzia che si ritrova in fondo in tanti altri ambiti: tutti vogliono le cose facili, o qualcuno che faccia il difficile al posto loro.

Ma se sono gli stessi autori che spesso si annoiano di impegnarsi per farsi conoscere, come si può pretendere che ci siano lettori che li leggano? In ogni caso l’affermazione che “non si legge più” è per certi versi vera, per altri meno.

Vera nel senso che hanno preso piede altre espressioni artistiche, tra cui il cinema, la musica, ecc… Il nostro tempo libero si divide su più fronti. Falsa se pensiamo che in realtà il libro è oggi molto più accessibile. Fino al secolo scorso erano addirittura tanti a non saper nemmeno leggere e scrivere. Ogni tutti sanno farlo, ma non possiamo pretendere che tutti abbiano la passione per la lettura. Quello che gli editori possono fare è cercare di innamorare sempre più persone all’atto di leggere un buon libro. Ma per arrivare a questo dovremmo appunto offrire “un buon libro”.
Gli editori non sanno più cosa sia la letteratura vera, e ci lamentiamo che i nostri libri davvero banali nessuno li voglia leggere. Colpa nostra, in fondo.

Secondo
Stai suggerendo un’editoria più severa? Per quanto riguarda gli autori è vero, e credo che la voglia di pubblicare e basta poggi le basi anche sul fatto che, tra social e quant’altro, tutti abbiano bisogno di esprimere una propria opinione, spesso sottovalutando quanta vera fatica ci sia dopo la pubblicazione in sé. Tendono a vedere il libro come la fine di un percorso. Secondo te da cosa deriva questa ‘resistenza’ alla fatica?

Certo, l’editoria deve essere più severa, e gli editori dovrebbero essere più cattivi. Quando arrivano romanzi pessimi alla casella di posta, gli addetti alla valutazione non dovrebbero limitarsi a cestinarli, ma chiedere all’autore di smetterla di scrivere. Un tempo si faceva.

La verità è che la pubblicazione è una cosa seria e se le persone vogliono esprimere la propria opinione, lo facessero su Twitter, Facebook o Instagram. Lì piovono i like e tutti sono contenti. Quando si pubblica un libro, mi dispiace dirlo ma le vendite non piovono come i like. Il libro è la cosa più difficile da vendere. La casa editrice mette a disposizione gli strumenti per vendere (crea una copertina accattivante, migliora il testo con l’editing, fornisce una serie di contatti tra blogger, giornalisti e altri addetti ai lavori, mette l’opera in commercio stampandola e facendo in modo che i lettori possano acquistarla con una distribuzione più o meno efficace).

Ma la casa editrice non vende libri. I libri li vendono le librerie, semmai. Ovvio che se l’autore vuole vendere qualche copia in più si deve impegnare in prima persona. Se non lo vuole fare, continuasse a scrivere i suoi pensieri sui social al posto di volerli stampare. Continuasse a giocare con Wattpad.

Contorno
A proposito di vendite… Si dice che si vende di più, ma si legge meno. Uno dei miei crucci più grandi è proprio come invogliare le persone a leggere. Si è parlato di azione a scuola, in famiglia, tu cosa proponi?

La scuola non può certo invogliare alla lettura, in Italia i programmi sono pessimi. Al liceo si studia la Divina Commedia per tre anni di fila e i ragazzi, una volta diplomati, non hanno la più pallida idea di cosa sia la poesia. La scuola è ormai irrecuperabile. Bisogna piuttosto sensibilizzare le famiglie, e questo lo dobbiamo fare proprio noi editori. Per prima cosa invogliare i bambini a leggere. I bambini amano la lettura, si illuminano davanti a un libro illustrato e non devono perdere questo bagliore crescendo.

Per gli adulti, la questione è sempre la stessa: proporre libri di qualità! Vedrete che saranno più letti. Credo che tantissimi libri venduti come strenne natalizie rimangano negli scaffali senza nemmeno essere sfogliati. Vero che le casse delle case editrici per queste vendite natalizie si riempiono un po’, ma alla lunga si rivela una strategia dannosa per l’editoria, che col tempo porta alla scomparsa del libro. Quante volte ci sentiamo dire: “Ho la casa piena di libri, non ne posso acquistare altri”. E così noi editori non vendiamo, mentre se in quelle case ci fossero solo libri che effettivamente vengono letti, ciò gioverebbe a tutti, ma soprattutto ai più piccoli.

Dolce
Abbiamo parlato di editori troppo generalisti e autori pigri. Un’ultima domanda un po’ amara nonostante sia la portata del dolce, è: siamo in un periodo di minimi storici culturali. Ha senso pretendere di più?

La cultura è semplicemente cambiata, insieme al modo di fruirne. È una cultura molto più pop e semplificata. A nessuno interessa se non sai come è finita la battaglia di Waterloo, tanto serve giusto il tempo di scriverlo su Google dal proprio smartphone per dare la risposta. Ma sei ignorante se non hai visto l’ultimo film uscito al cinema o se non conosci la canzone dell’ultima star del momento.

Piaccia o no, il concetto stesso di cultura è cambiato. Allora oggi il saggio di successo non lo scrive più lo storico, ma lo youtuber che va di moda. Siamo più ignoranti? No, semplicemente abbiamo meno coscienza, abbiamo accantonato il substrato culturale che ci fa avere coscienza delle cose e di ciò che siamo. Abbiamo abbattuto i ponti col passato, siamo la società più “giovane e priva di storia” che l’umanità abbia mai conosciuto. Una società che ha cancellato la propria storia vive in modo primitivo, si relaziona col mondo con un “qui e ora”, si fa meno domande, ma è più votata a trovare soluzioni pragmatiche. Un po’ come non ci interessa sapere quali sono le componenti interne del nostro cellulare e come funzionano, ma ci interessa saperlo usare.

Il progresso ci ha paradossalmente riportato a un modo di vivere primitivo. Cosa possiamo allora pretendere da questa generazione con una cultura così pragmatica che guarda solo alle necessità del momento? Semplicemente adeguarsi. Non è assolutamente detto che in questa società non ci sia spazio per il libro. Bisogna solo saperlo rendere appetibile. Il cinema, la musica, il teatro si aggiornano di continuo, nascono nuove tendenze, nuove tecnologie che permettono di più.

L’ultima novità della lettura dal punto di vista formate risale all’ebook, e ormai esiste da tanti anni sempre nello stesso formato: ancora oggi convertire in digitale un libro illustrato è un’operazione complicatissima e dai dubbi risultati. Dal punto di vista contenutistico non ne parliamo, si ripetono sempre le stesse storie, non esistono più libri davvero innovativi.

Digestivo
Credo che in questa intervista con Moreno si sia detto e sviscerato molto. Quando un editore parla così schiettamente è una cosa bella, ci sono le basi per un dialogo reale, basi che affondano su una situazione che gli editori vivono e di cui poco spesso si sente parlare.
Se altri editori stanno leggendo questo articolo e vogliono ribattere o confermare le parole di Moreno: dite la vostra, ditela qui. Questa è una cucina sempre aperta!

Per sbirciare invece i libri che ho letto per questi due marchi editoriali, rimando a Vertigine di Mara di Noia e Dietro anime d’inchiostro, di Marco Chiaravalle.

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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