La notte più lunga, recensione di Jessica Imhof per #readEat

La notte più lunga, recensione di Jessica Imhof

La notte più lunga di Michael Connelly, Piemme (click), ci riporta in compagnia della detective Renée Ballard, dopo l’appassionante avventura de L’ultimo giro della Notte.
Ballard è sempre la stessa dura, testarda, dedita e instancabile poliziotta che ho apprezzato nel primo romanzo. Mi piace pensare a lei come a una detective vagabonda, trascorre il suo tempo tra le notti nella centrale di polizia della divisione Hollywood e le giornate in spiaggia a dormire in tenda con la fedele cagnolotta Lola e facendo Paddle Surf (quello in piedi, che manco a dire vorrei davvero provare).

Ballard ha costruito un muro attorno a sé per allontanare le altre persone, soprattutto gli uomini. Lavora sempre all’ultimo spettacolo, il turno di notte della LAPD, ma se nel primo libro questo posto da detective le stava stretto, ora sembra essersi adattata a questa posizione in purgatorio,  e che addirittura le piaccia. Tuttavia, qualcosa è cambiato.

Il partner abituale di Ballard è in congedo e quindi sembra che se la debba cavare da sola, in questa nuova storia, ma in Sala Detective sorprende uno sconosciuto con i capelli grigi e i baffi, intento a frugare tra i vecchi schedari: è Harry Bosch, forse il più famoso personaggio di Michael Connelly.

Ne La notte più lunga, Bosch gioca la carta del finto tonto., in un primo momento cerca di celare alla donna le sue intenzioni. Renée non se la beve, e riesce a scoprire quello che Bosh realmente cerca. Il detective del LAPD in pensione, infatti, continua a tenersi occupato lavorando a dei cold case al distretto di San Fernando. Harry sta indagando sul caso irrisolto della quindicenne Daisy Clayton, una ragazzina brutalmente assassinata nove anni prima e ritrovata in un cassonetto.

Bosch ha deciso di occuparsi del caso dopo aver tolto la madre di Daisy dalla scia di tossicodipendenza nella quale era caduta dopo la morte della figlia e averle offerto un’ancora di salvataggio. Per Ballard invece è diverso, si interessa al caso perché questi sono i tipi di mostri che vuole sbattere in galera, il suo obiettivo è lavorare per fermare coloro che fanno cose terribili alle donne.

Così il giorno dopo aver scoperto Bosch in Sala Detective si presenta a San Fernando per offrire il suo aiuto e risolvere il caso di Daisy.
Bosch rimane molto stupito delle doti investigative di Ballard e anche se non si fida ancora della detective, accetta il suo aiuto.,

Bosch e Ballard.
Ammetto che ero un po’ dubbiosa riguardo questa accoppiata, confesso di essere una neofita dei libri di Connelly. Infatti, il suo primo libro che ho letto è stato L’ultimo giro della Notte, primo volume della serie di Ballard. Non conoscevo Harry Bosch e il mio timore era quello perdermi qualcosa, qualche sfumatura nel personaggio che i lettori di vecchia data avrebbero potuto riconoscere facilmente. Fortunatamente, così non è stato.

Michael Connelly sa quello che fa ed è stato davvero molto scaltro nel racconto di questo romanzo. Introduce Bosch dal punto di vista di Ballard, che come noi nuovi lettori non conosce il buon vecchio detective.

Il punto di vista cambia, seguiamo Ballard con il suo turno di notte e Bosch con un altro caso a cui sta lavorando, così ho imparato a conoscere l’uomo scongiurando così il timore di perdermi qualcosa  o almeno, se così è stato, non me ne sono accorta e va bene comunque.

Ballard e Bosch sono due sconosciuti che lavorando assieme imparano a fidarsi e l’uno dell’altro e a coprirsi le spalle a vicenda. I loro metodi di lavoro sono agli antipodi, ma è un duo che funziona benissimo.
Ballard porta a Bosch freschezza e nuova consapevolezza. Vedere il male per tanti anni è difficile, ma non bisogna lasciarsi trascinare in una spirale di violenza da essi.

Connelly è un maestro e la sua scrittura ne gode appieno, coinvolge e corre fluente facendoti leggere quasi quattrocento pagine in pochi giorni. Rispetto al primo romanzo della serie forse c’erano meno fuochi d’artificio e colpi di scena. Questa è sicuramente una storia più solida, ho apprezzato che non ci fossero troppe divagazioni sui tecnicismi della polizia. Insomma, posso vivere senza che mi venga spiegato in dettaglio ogni acronimo, procedura e macchinario del LAPD.

Tornando a un ambito più mangereccio, posso dire che La Notte più lunga è come un buon caffè, necessario per lavorare all’ultimo spettacolo, con la garanzia di soddisfazione che offre una brioche.

Forse vi sembrerà troppo semplice, ma credetemi a causa di intolleranze e glutine e lattosio sono anni e anni che non mangio una brioche, e quindi le apprezzo e desidero ancora di più. Quindi, fatemi e fatevi un favore, prendetevi un caffè, andate in pasticceria e fate scorta di brioche, poi passate in libreria o connettetevi vostro E-Book Store preferito e leggete La Notte più lunga.

 

mentre bevo il mio caffè
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Recensione La notte più lunga, di Jessica Imhof, per #readEat – libri da mangiare.
Rubrica: la parola ai lettori

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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