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Tutto questo tempo, per scriverne la recensione!

Tutto questo tempo è passato, lettori, ma finalmente posso presentarvi qualcosa!

In realtà, Tutto questo tempo (click) è anche il libro qui, nella cucina letteraria di #readEat. Mai come in questo caso, un titolo azzeccato al momento. L’autore, Nicola Ravera Rafele, mi ha servito sul piatto d’argento una piccola perla letteraria, captata con prontezza da Fandango Libri.

Questo libro non l’ho letto da sola, ma è stato un primo esperimento di lettura condivisa con altri blogger, una lettura breve e quotidiana che sera dopo sera ci ha messi a confronto l’uno con l’altro,  e devo dire che se non fosse stato per qualche paio d’occhi in più, il viaggio non avrebbe assunto quel picco di unicità che invece ha e conserva.

Ad ogni modo, Tutto questo tempo è un grande storia generazionale, un percorso che si snoda tra le vite di Giovanni ed Elisa, quelle dei loro amici e successivamente, dei loro figli. L’andamento della narrazione, più ritmato nella prima parte e volutamente lento e riflessivo nelle ultime due, credo sia da attribuirsi non tanto a una decisione dell’autore ma al tempo stesso dei personaggi: persone diverse richiedono modalità differenti, e in questo la scrittura di Rafele è coerente, si adatta a quello che sta raccontando, alle persone di cui parla. La scrittura al servizio dei personaggi.

Giovanni ed Elisa sono i personaggi che più mi hanno tirato le mani, lo giuro. Imperfetti, egoisti, bilanciano la prima parte del romanzo con l’andamento tumultuoso della loro storia, raccontano la fine degli anni Ottanta e tutte le contraddizioni di quel periodo, quando ‘per il bene della famiglia’ inizia a trasformarsi nei bisogni originali dei genitori, che prima di tutto sono persone. Persone particolari, in questo caso, lo ammetto.

Nel gioco a rimpiattino, però, chi ci fa le spese sono sempre i figli. Clara e Dario vivono con in bocca un sapore amaro da cui devono difendersi, in un modo o nell’altro.

La cosa che ha stuzzicato le mie papille gustative, di Tutto questo tempo, è che nulla nella narrazione è stratosfericamente eccezionale, o speciale. Nessun superpotere, nessuna grande dinamica a dare quel sottofondo di tragedia alla storia. La normalità è abbastanza traumatica così.

Tutto questo tempo insegna che c’è qualcosa, nell’allontanarsi e riavvicinarsi, nel mettere il piatto a tavola a tuo figlio giorno dopo giorno, che lascia strascichi ogni volta più marcati. La quotidianità è un allenamento durissimo, che forse oggi non ci sconvolge più anche se dovrebbe.

Quello che mi viene in mente, nell’immediato, è che oggi tendiamo a vivere protetti da qualsiasi cosa, una protezione che Clelia e Dario, miei coetanei, non hanno avuto. Che la mia generazione, non ha avuto. Siamo dunque i figli di quel crack, di quel momento, negli anni Ottanta, in cui tutto è stato messo in discussione? Inevitabilmente, sì.

Possiamo rivederci nell’insicurezza di Clara e nella passività di Dario?
Può essere, ognuno deve elaborare un trauma, presto o tardi. Solo che all’epoca era quotidianità, era la convinzione che un genitore felice facesse il figlio felice. Oggi no, oggi si parte dal figlio.

Se da un lato ammiro l’egoismo che, sulla carta, non impera più, dall’altro non posso fare a meno di guardarmi intorno, di guardare le persone della mia età, e chiedere loro come hanno vissuto quegli anni Novanta che erano densi di cambiamenti e che per noi, era soltanto il periodo del gioco.

Figli degli anni Ottanta, vi propongo quindi un assaggio di uova strapazzate. Non avrei potuto cucinare altro, leggendo Tutto questo tempo. Una frittata girata male, recuperata peggio, un uovo in disfacimento che però non perde di gusto.

L’uovo però ha quel sapore neutro che lascia ben sperare, perché il neutro ha bisogno di poco per diventare spettacolo. Quel poco l’ho trovato con le spezie, un mix di curry thailandese e pepe, due cose che si contraddicono alquanto ma che, in qualche modo, lavorano per contribuire all’unicità del piatto.

Allora, vi sono mancata?

 

 

recensione Tutto questo tempo, Nicola Ravera Rafele, Fandango Libri

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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