una editor a tavola: Sara Gavioli

Oggi, nella cucina letteraria di #readEat abbiamo a cena Sara Gavioli, autrice, editor e supereroe, per dirla con parole sue.
Ho avuto modo di seguire e apprezzare il lavoro di Sara sotto ogni aspetto da lei elencato, e averla come prima ospite mi emoziona poiché i punti di vista da cui guarda al mondo editoriale sono molteplici e su ognuno può far luce.
Quindi, colgo l’occasione per ringraziarla e, metaforicamente, lego al collo il tovagliolo.

Antipasto
Ciao Sara, una domandina leggera, giusto per scaldarci.
Come si sceglie di lavorare in editoria? Per quanto riguarda la tua esperienza, è nata prima l’autrice o prima l’editor?

Ciao Ida, e ciao ai lettori. Direi che nel mio caso è nata prima l’autrice: scrivo da sempre. Il mio primo romanzo, in realtà, è stato scritto su un quaderno da terza elementare. Certo, avrebbe avuto bisogno di un editing, però devo dire che è stato un bestseller. I miei genitori lo hanno comprato a ripetizione.
A parte queste primissime esperienze, il mio percorso da autrice è ancora ai suoi primi passi. Sono convinta che la stesura di un romanzo sia un’ardua impresa e continuo a lavorare su me stessa e sul mio stile per migliorare. Il lavoro come editor freelance è arrivato dopo, e per me è rimasto separato dalla passione per la scrittura. Si tratta di ambiti affini, ma l’attività di un editor è molto diversa da quella dell’autore.

Mi piace dire che sia stato questo lavoro a scegliere me, non il contrario. Qualche anno fa mi sono trasferita a Milano e, come tutti, ho iniziato la disperata ricerca di un contratto e di uno stipendio, senza avere idea di cosa stessi facendo. Nel frattempo, anche se nemmeno lo sapevo, stavo già svolgendo un’attività molto vicina a quella che svolgo oggi: facevo da beta-reader per amici, conoscenti e amici di amici. Proprio da lì è partito tutto. Un giorno qualcuno mi ha proposto di pagarmi per revisionare il suo testo, e io che intanto passavo le giornate a leggere annunci di call center e volantinaggio mi sono detta: ma allora può essere un mestiere?

A quel punto, ovviamente, ho dovuto pormi il problema della professionalità. La passione è un punto di partenza, però da sola non basta. Per fortuna, trovandomi a Milano, non è stato difficile iniziare a seguire dei corsi di editoria e redazione. Non sapendo bene quale scegliere, mi sono fatta coraggio e li ho seguiti praticamente tutti; oggi posso dire che li colleziono, e appena posso ne seguo sempre di nuovi, perché non si finisce mai di imparare e perché il confronto con professionisti del settore è prezioso.

Primo
Occuparsi di editing vuol dire spesso avere cento paia d’occhi: coerenza dei personaggi, stile dell’autore, fluidità di trama, grammatica.
Capita a volte che l’autore possa sentirsi un po’ invaso dall’intervento dell’editor e allora ti chiedo: c’è una zona di confine oltre cui non si deve andare?

Prima di tutto, nonostante sia comprensibile in un primo momento, l’autore non dovrebbe sentirsi invaso mentre lavora sul testo. L’editing impone un dialogo, che precede l’intervento concreto, e che serve a conoscersi, a entrare in contatto con lo stile di quella persona e a capire quale sia l’obiettivo comune. Vien da sé che questo obiettivo comune non potrà essere lo stravolgimento del testo. L’editor deve essere in grado di individuare un punto di equilibrio tra le modifiche da consigliare e la voce unica di quell’autore. Se non proponesse alcuna modifica quando serve, non farebbe un buon lavoro; nello stesso modo, se finisse per rendere il testo alieno a chi lo aveva scritto non avrebbe ottenuto un bel risultato. Ho notato diverse volte, per esempio, che la poca esperienza porta a imporre troppi cambiamenti, come se l’aspirante editor in questione fosse una sorta di oracolo della letteratura.

Nessuno lo è; i consigli devono avere motivazioni chiare, che vanno spiegate e discusse, e non devono mai basarsi soltanto sul gusto personale.

Secondo
Quindi possiamo dire che il libro sia frutto del dialogo dell’autore con il suo editor. Fino a qualche tempo fa il lavoro di un editor è rimasto un po’ – molto – dietro le quinte, pensi che questo ‘svelamento’ tolga qualcosa all’autore a livello di meriti? 

Non direi. Il libro appartiene all’autore. L’editing, per come la vedo io, è un intervento di maieutica: tira fuori quel che c’era già, anche se non era evidente. Se non c’è abbastanza da far emergere, l’editor non potrà creare del talento dal nulla. Io mi vedo più come una zia, per i manoscritti su cui lavoro; non sono la madre, ma li ho visti crescere, ho contribuito in parte e ne sono fiera. Quel che cerco sempre di ottenere, anche quando il risultato finale non è perfetto, è di lasciare qualcosa all’autore. Qualcosa che potrà usare nella stesura del libro successivo, e che rimarrà come suo patrimonio. Mi capita di rifiutare dei lavori, se ritengo che da tirar fuori ci sia troppo poco, ma ho fatto esperienza di progressi miracolosi.

Il problema, in realtà, è che l’editing è difficile da definire con esattezza. Dipende talmente dal singolo caso che ogni regola sembra stretta; ci sono autori che hanno bisogno di partire da zero, e allora il successo consiste nel progresso e nell’acquisizione di competenze che rimangano, e altri che sono già a un buon livello. L’obiettivo deve tener conto del livello di partenza, non può essere uguale per tutti.

Contorno
Dal tuo punto di vista di autrice invece, che mi dici?
Anche gli editor hanno bisogno dell’editor? Come vivi l’approccio professionale di terzi al tuo lavoro?

Esatto. Anche un editor ha bisogno di un editor. Quando scriviamo, per forza di cose non vediamo la nostra opera da un punto di vista esterno e oggettivo. Al momento sto lavorando sul mio secondo romanzo con l’agenzia letteraria che mi rappresenta, e i loro consigli sono stati preziosi. Prima, il testo è stato sottoposto agli occhi scrupolosi dei miei beta-reader e dell’editor Stefania Crepaldi, un’amica e una collega che stimo molto, e ogni parere mi ha aiutato a migliorare. Tutti gli autori hanno bisogno del confronto; la fine della prima stesura non è che un inizio.

Per quanto mi riguarda, sono molto severa con me stessa e sono abituata a gestire i pareri e le correzioni. Non ho mai avuto problemi nel ricevere delle critiche, al contrario: grazie a esse continuo a far evolvere il mio stile.

Dolce
Il secondo? Grande Sara, che bello!
In ultimo, vorrei chiudere con una domanda un filino provocatoria: su Facebook un tuo post ha riscosso tanti commenti, concordi o no. Mi sto riferendo a quando dici che c’è bisogno di scrivere meno. In un Paese come l’Italia dove i titoli pubblicati ogni anno raggiungono le cinque cifre e dove ormai sono sempre più i libri ‘a puntate’, dove ognuno vuole vedere la sua idea su carta stampata – come te e come anche me, d’altro canto – , cosa vuol dire scrivere meno?

Da quando ho firmato il contratto di rappresentanza, sono stata costretta ad aspettare. Se non fosse successo, probabilmente avrei intanto pubblicato con entusiasmo (in self, o con piccoli editori) diverse mie opere, che invece così sono rimaste nel cassetto a maturare. Ci ho lavorato sopra con calma, sono stata costretta a riflettere e a rileggerle; alcune le ho cestinate, su altre lavoro ancora. Questo periodo di pausa, necessario a causa dei tempi lunghissimi dell’editoria tradizionale, mi è servito un sacco. Oggi, invece di avere dieci romanzi su Amazon, ne ho parecchi quasi pronti che attendono di ricevere un editing professionale e di raggiungere la maturità.

Al di là dei risultati che otterrò, aver capito quanto valga l’attesa mi ha dato una lezione fondamentale. Era questo, che intendevo: non un invito a smettere di scrivere, ma alla pazienza e all’impegno. L’entusiasmo dell’autore ha un suo fascino, però deve essere contenuto e la fretta è nemica della qualità.

Mi spiace se qualcuno si è sentito attaccato dal mio post. Per quanto mi riguarda, io proseguirò con la consapevolezza di quanto valga l’attesa; con me sta funzionando.

“Scrivere meno” vuol dire, a mio parere, farlo con più cura. Non penso sia difficile capire che un romanzo scritto e pubblicato nel giro di un mese non potrà mai, per forza di cose, esprimere al massimo le sue potenzialità. Ma su questo, come su altro, dipende tutto da ciò che si intende ottenere.

Tutti sazi? Bene!

Ancora grazie a Sara per aver inaugurato con me la rubrica Spizzichi e bocconi!
Spero che tutte le portate siano state di vostro gradimento insieme alla mia ospite, che vi invito caldamente a contattare nel caso abbiate voglia di un confronto sincero e di un aiuto professionale!

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

Rispondi