Enrico Fierro - La genovese - la raggia agrodolce

enrico fierro, la raggia agrodolce

“A raggia, Frank, ti consumerà per tutta la vita.”

Questa è la storia di un perdente. Un perdente vero, con la P maiuscola.
Frank Santaniello è un giornalista che paga il prezzo di un’opinione propria, forse non adatta alla nuova direzione che la sempre sorridente ‘direttora’ vuole far prendere al giornale.

Lui, Frank, è votato all’inchiesta. Vive di lotta al Potere, irriverenza e raggia, quella rabbia comune a tutti i vinti, coloro che hanno cercato di cambiare il mondo imbastendo una rivoluzione, ma non ce l’hanno fatta.
Frank vive di giornali da quand’è ragazzino, porta con sé gli insegnamenti del saggio giornalaio Peppino Matarazzo, che l’ha avvicinato alla carta stampata. Ha vissuto il terremoto, la propria terra in frantumi mentre il circoletto dei Potenti si arricchiva con i soldi delle ricostruzioni.

Ad oggi, la carriera di Frank è pericolosamente in bilico perché non ha resistito. Non ce l’ha fatta, a chinare la testa, non quando figure ambigue come quella dell’imprenditore Pel, Pellegrino Diotallevi, rubano persino alla povertà, lasciandola senza cibo perché ormai, il prodotto del contadino è diventato gourmet.

Leggere un libro come questo in un momento storico come questo vuol dire interrogarsi, come Frank, sui concetti di potere, di casta e opportunismo.
Di questi tre elementi Enrico Fierro, autore del romanzo, ci offre esempi fatti di persone e possibilità. Sono questi i ritratti di personaggi dubbi, politiche aziendali votate al compiacimento e della politica che devia sempre più a favore di poche tasche, sempre le stesse.
Credo sia opportuno accostare La genovese – Una storia d’amore e di rabbia alla frase dell’amato zio Marvel, Ben Parker, quando dice che ‘da grandi poteri derivano grandi responsabilità’.

Ecco, se si presta un po’ di attenzione alla parte delle ‘responsabilità’, ci si avvicinerà un pochino di più alla raggia provata dal nostro Frank. È quella che deriva dal tradimento supremo da parte di chi ha tanto, troppo potere, e non lo usa per gli altri.  O meglio, non lo usa per tutti gli altri.
È la rabbia contro chi potrebbe pagare adeguatamente un dipendente, chi potrebbe fermare guerra e non lo fa, è la delusione verso chi gioca la vita dei bambini su piani regolatori inadeguati.

Frank non ci sta, ha la raggia dentro, come dice sua madre, è malato. Ciò che forse troppi attorno al protagonista non capiscono, è che non ci si può arrabbiare per qualcosa che lascia indifferenti. Quindi, questa raggia sentita ai limiti dell’insofferenza, altro non è che un disperato grido d’amore. Per il Paese, per le persone, per il proprio lavoro. Frank è un solitario, non un arido; arrabbiato, sì, ma perché ama troppo.

Dunque, ringrazio la Compagnia Editoriale Aliberti per questo libro che mi ha dato tanti spunti di riflessione. Ho cercato di mettere in cucina tutto il sapore presente nel libro, interpretando Frank Santaniello con un piatto agrodolce che possa rappresentare sia l’indole del protagonista che lo stile pungente dell’autore.

In cucina, il menù #readEat di oggi offre costatine di suino in agrodolce con aggiunta di ingrediente non-per-molto segreto.
In pochi sanno che per rendere cremosa la consistenza della salsa è necessario che la carne finisca di cuocere nel brodo, perché altrimenti il miele si solidifica tanto da rendere il maiale una mela caramellata. Questo procedimento di cottura fino al punto di equilibrio tra le consistenze e i sapori mi ricorda la scrittura di Enrico Fierro. Il suo modo di cuocere il lettore a fuoco vivo, tenendolo sempre in ebollizione con un aneddoto, una riflessione o una battuta urticante, per ottenere poi un piatto che funziona. Almeno, secondo il mio palato.

Ma la raggia, dov’è?
La rabbia è nell’ingrediente ormai non-troppo segreto.
Vedete, ho aggiunto una puntina o forse poco più di tabasco. Ma non nella carne, né nel preparare la base agrodolce. L’ho messo  nel brodo, per sincerarmi che fosse ben assorbito dalle costatine, dalla salsa di soia e dal miele.

La rabbia è una cassa di risonanza per tutti gli altri sapori. Prolunga i pizzichi agrodolci sul palato e l’esperienza di un piatto altrimenti troppo breve da gustare, per un pizzicore leggero che persiste anche dopo il pasto.

 

pillole di raggia
il trucco del piccante nel brodo non è una mia geniale invenzione, devo ammettere.
Quando vivevo con mio padre, a volte lui mi faceva l’onore di preparare la cena: tortellini in brodo, che vi pensate.
Poiché dovevo crescere sana, forte e con il naso libero, nel brodo c’era sempre l’olio al peperoncino o le temute ceraselle sminuzzate. Queste ultime erano piccole bombe di rabbia a cui mi accosto ancora oggi con vivo risentimento.

Potrei ora ammettere due cose: la prima è che ho il palato bruciato (e forse è controproducente dirlo in una cucina letteraria), la seconda è che non ricordo più il vero sapore dei tortellini. Sarebbe però troppo facile.
Invece ammetterò che grazie al mio pater, anche io come Frank mi arrabbio facilmente.

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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