grandi nomi e picchi agrodolci

Quando in questa cucina letteraria arriva una raccolta di racconti, spesso capita che a libro terminato mi aggiri tra fornelli e dispensa, fissando pentole e padelle nella speranza che rispondano in #readEat maniera al mio quesito imperante: ‘e mo?’

Non perché parlare di un insieme sia più difficile che affrontare un romanzo, no. Piuttosto perché incute sempre un po’ di timore metter bocca su un Jack London, un Edgar Allan Poe o un Luigi Pirandello, poiché questi sono soltanto alcuni dei nomi che Andrea Mattacheo ci propone nella sua raccolta, A Tavola – Storie di cibi e vini, sotto l’insegna di Giulio Einaudi Editore.

Arrivare al fondo del libro è stato difficile. Passare da una penna all’altra, da un mondo all’altro e da una tavola all’altra, accettare l’ordine del curatore e cercare di capire a fondo il messaggio annunciato in prefazione senza perdermi nella miriade di voci che ha unito, ha richiesto un impegno diverso. Lui sicuramente si è orientato bene. Sarò stata brava io? Lo si giudicherà dal piatto che presenterò!

A Tavola raduna le grandi firme della letteratura, mettendole in cucina per poter fornire un menù letterario molto diversificato: il cibo apre le porte alla ricchezza, alla miseria e alla disillusione, presentandosi nella sua grande potenza di ‘stratificatore’ sociale. Divide le classi, è vero, ma al contempo unisce anche le persone più diverse e ci permette di trovare lo stupore, l’ironia e un pizzico di cuore nei piccoli gesti, caldi e amorevoli come i panini dolci di un pasticcere che cerca di dare conforto a una giovane coppia colpita da un lutto importante.

Il tema della morte ritorna spesso: quella di un vicino, di un bambino, di un povero maialino o in un lucido piano omicida. Questa enfasi sulla morte è una delle tante punte agrodolci di questa raccolta e credo che tra le sue funzioni ci sia anche quella di tracciare un confine che oltrepassa ogni barriera sociale: in quanto tappa ultima della vita, la morte ci ricorda che abbiamo un inizio e una fine, esattamente come i momenti che passiamo a tavola.

Se è vero che proprio in merito alla nostra finitezza è bene vivere appieno ogni giorno, è vero anche che nel tempo finito del pasto bisogna dare onore a ogni piatto che ci viene proposto. Come la vita e i momenti conviviali, anche la lettura andrà affrontata in questo modo, giusto? Gustare ogni pagina di un libro e passare a quella successiva, rendendo onore al tutto. Che siano questi i famosi ‘desiderio e sopravvivenza’ di cui parla Mattacheo nella sua prefazione? Il cibo è necessario alla vita, eppure detiene anche anche un’altra funzione, forse meno evidente della sopravvivenza stessa: il cibo è portatore del gusto, quella cosa che si affina nel tempo, con gli anni e la cultura. Ecco che sopravvivere, quindi, diventa anche una questione di fame intellettuale.

Confesso che inizialmente volevo friggere, perché nella raccolta vi è un coinvolgente Anthelme Brillat-Savarin che medita sulla teoria della frittura. La chimica in cucina, l’arte di mantenere morbidezza e sapore in un involucro croccante sono stati richiami abbastanza forti per le mie radici partenopee. Tuttavia ho desistito,  non per timore di profumare come un crocchè quanto perché, così facendo, avrei reso merito a un singolo pezzo e non all’intera raccolta.

Per amor di completezza, quindi, ho cercato di evocare la pazienza di un curatore quale Andrea Mattacheo si è dimostrato: ho scelto un chilo di cipolle, selezionandole una a una, ho atteso pazientemente che macerassero in un bagno di zucchero di canna e aceto per le ore dovute, e poi ho passato tutto al fuoco, a caramellare finché elementi separati non sono diventati un’unica confettura che richiami l’inequivocabile unitarietà di A tavola e il suo sapore agrodolce.

Ed ecco che #readEat, per amore di un’intera raccolta, propone più modi di gustare la confettura di cipolle: da sola, con un pezzettino di parmigiano, accompagnata a un crostino semplice o a del pane integrale abbrustolito.

Servitevi pure!

 

puntigliosità
Ebbene sì, ho tagliato finemente un chilo di cipolle. La lacrimazione non è stata forte come mi aspettavo, quindi è bene riconsiderare la pericolosità di queste nemiche di Tropea.
Sebbene la ricetta originale dica ‘marmellata’ (il cui suono è molto più appetitoso, a parer mio) ho scoperto che è esatto, in realtà, parlare di ‘confettura’. Nonostante si preparino quasi del tutto allo stesso modo, possiamo definire ‘marmellata’ soltanto ciò che è a base di agrumi, e in una data percentuale. Voi lo sapevate?

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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