Il libro di questa settimana porta nella cucina letteraria di #readEat numerosi punti di domanda: e se avessi usato l’omogenizzatore invece del minipimer? Era necessaria la marinatura prima di cuocere? Avrei dovuto usare la crema di tartufo?
Chi dice che ‘ormai quel che è fatto, è fatto’ evidentemente non ha letto I Rami del Tempo di Luca Rossi e mi consiglierà di eseguire di nuovo la ricetta per poter soddisfare le mie curiosità. Chi invece, come me, si interroga sulla relazione tra azione e conseguenza, può sentirsi libero di immaginare un riavvolgimento del nastro in cui cucinando in maniera diversa, si otterrà un risultato dal gusto differente.
Dunque, sotto con quei taglieri! Si va alla scoperta di nuovi mondi e nuovi sapori!
In un’epoca imprecisata appartenente a un mondo altro, una strage riduce a tre persone gli abitanti dell’isola di Turios; tra queste, la sacerdotessa Miril è l’unica in grado di mantenere alta la barriera magica che impedisce al popolo di Isk e al suo perfido re, Beanor, di oltrepassare il confine che li costringe nelle inospitali terre del nord. La chiave per sopravvivere è nascosta nei meandri di un passato millenario, e c’è bisogno di agire in fretta prima che qualcun altro alteri la storia, rendendo il presente un ramo secco destinato a essere tagliato via. Ma da chi?
Non è la prima volta che un fantasy mi porta a riflettere su quella che è la realtà odierna, e il pensiero di oggi è volto principalmente alle relazioni tra gli individui e al concetto di libertà nel suo significato più ampio. Mi viene in mente la frase ‘la tua libertà finisce dove inizia la mia’, e non posso fare a meno di pensare al costante lavoro dei sacerdoti di Turios su quella barriera, un muro invisibile che delinea in maniera più che fisica lo spazio libero di due popoli, rendendo il detto quanto mai vero. Se estendiamo questa barriera a quelli che sono i rapporti tra le persone, vediamo che nel libro come nel quotidiano esiste chi rinuncia alla propria libertà per permettere agli altri di viversi a tutto tondo, e chi infrange quelle barriere soltanto perché ha la possibilità di farlo. Dunque, la lotta – altro tema portante del libro – cos’è se non il tentativo di allargare i confini della propria libertà, di autoaffermarsi?
E se è vero che oggi siamo sempre più collegati gli uni agli altri, chi paga il prezzo per l’autoaffermazione altrui?
In questo primo romanzo dell’omonima serie I rami del tempo, il tema della libertà viene affrontato in maniera a volte sottile e a volte netta, ma attraverso le personalità che animano la narrazione tocca ogni confine dell’argomento, condizionando fortemente le scelte dei personaggi fino a quella più estrema: alterare tutto, impedire che queste scelte diventino azioni, trasformandole in rami secchi. Eliminare la libertà degli altri così che la propria diventi senza fine.
Un po’ come i gambi di sedano, avete presente?
Lo so che non è un albero e che con l’albero l’esempio è più calzante, ma siamo pur sempre in cucina e se fate attenzione, vedrete che recidere un gambo intero comporta la morte anche dei piccoli rametti in cima, quelli da cui poi si dipanano le foglioline. Visto? Rami e gambi!
La morte, per il mio povero sedano, è sopraggiunta in pentola quando il malcapitato, insieme alla cipolla, è diventato la base per una vellutata di funghi champignon.
La scelta del fungo come ingrediente principale è dovuta al suo sapore amarognolo, che è un po’ anche la costante del romanzo. Il lutto è un boccone amaro, com’è amaro perdere la libertà e sottostare a chi te l’ha tolta. Però, anche animi gentili e croccantezze battagliere sono elementi che andavano inseriti nel piatto, e che distinguono alcuni dei protagonisti de I Rami del Tempo. Quindi, ecco che a mitigare il gusto forte degli champignon sono intervenuti semi di sesamo, zucchine e patate, che rendono più dolce una narrazione altrimenti animata soltanto dalla sete di potere.
C’è da ammettere che questo piatto non è esteticamente il più riuscito, anzi è piuttosto incompleto. Sì, avrei potuto preparare tutto in umido, in padella, renderlo un contorno piuttosto che un passato. Scegliere diversamente, insomma.
Mi riprometto di scegliere diversamente in futuro.
D’altro canto, il romanzo è finito ma l’avventura dei personaggi no.
il trauma del colore
Quando ho minipimerizzato* il tutto ero fiera di quel che ne sarebbe uscito. Ehm… decidendo di mescolare il verde del sedano e delle zucchine al bianco/beige dei funghi potrei però aver creato una vellutata dal delicato color fanghiglia e l’aspetto non troppo invitante.
Lo ammetto: anche l’occhio vuole la sua parte. Tuttavia, vi invito a provare questo caldo, caldissimo piatto invernale, da me ribattezzato Quasimodo.
Il Gobbo, non Salvatore.
*neologismo creato a caso, ma se ‘petaloso’ ha dignità di parola…