grado zero, maurizio vicedomini

Grado Zero, critica contemporanea e Maurizio Vicedomini

Cari lettori affamati,
le belle interviste, come le belle chiacchierate, partono da un argomento per poi spaziare, si sa.
Anche in questo caso il pranzo è stato pieno di belle soddisfazioni, tutte date da Maurizio Vicedomini, editor e direttore della rivista online Grado Zero (click).

Saranno condivise? Ditemelo voi!

Antipasto
Ciao Maurizio, grazie per la presenza! Tu sei un editor e un autore, ma gestisci anche ‘Grado Zero’, una rivista online con tanti contenuti interessanti e attuali sul mondo del libro. Come sai questo è materiale succulento per la mia cucina letteraria. Ci parli un po’ di ‘Grado Zero’ e due suoi primi passi?

Ciao, e grazie a te per l’invito!
‘Grado Zero’ è una rivista culturale online fondata quattro anni fa sui banchi universitari. L’idea era semplice: parlare di una cultura – letteraria, cinematografica – che fosse legata alla contemporaneità e che ci parlasse del mondo in cui viviamo. Un mondo che è certamente diverso da quello di Calvino. Se spesso la critica accademica – questo era il nostro sentire dell’epoca – si ferma ai classici, noi potevamo andare oltre, cercare di lavorare su ciò che c’era di nuovo, con un linguaggio e un’accessibilità tali da raggiungere un pubblico più vasto.

Da queste premesse fondai nel 2014 ‘Grado Zero’, e tirai dentro tutti i miei compagni dell’epoca. Molti sono ancora in redazione, altri continuano a sostenere e seguire il progetto. Oggi ‘Grado Zero’ è un qualcosa di più complesso. Affronta non solo cinema e letteratura, ma cerca di affrontare tutte le forme di cultura (musica, scienza, serie tv, fumetto, giusto per citarne alcune), ed è al contempo una vetrina per nuovi autori che vogliano sottoporci i loro racconti. È una realtà in costante crescita, e di questo non posso che ringraziare tutti coloro che hanno abbracciato il progetto – che nasce e morirà gratuito in ogni sua forma – e naturalmente coloro che ci leggono e ci seguono.

Primo
Quando dici che la critica accademica sì è fermata a Calvino, cosa intendi?
Perché parli anche di linguaggio e a modo tuo di accessibilità. Ritorna il discorso che la cultura deve essere accessibile ma, al contempo, a volte l’accessibilità è limitata dagli strumenti che non vengono forniti proprio in ambito accademico perché Calvino rappresenta un punto d’arrivo e raramente una ripartenza.

È un discorso abbastanza articolato, e non so se riuscirò a farcelo stare nel tempo di un piatto di spaghetti. Ma proviamoci.
Utilizzo Calvino come emblema dell’ultimo classico della letteratura italiana. Non è infrequente il pensiero – nelle aule accademiche – che la prospettiva storica impedisca di studiare ciò che c’è dopo, perché troppo vicino a noi, a chi fa critica. Fermo restando che la prospettiva storica sia fondamentale, Calvino è morto trentatré anni fa. Il suo tempo era terribilmente lontano rispetto a quello che oggi conosciamo. Viviamo in un mondo in cui pensare a una realtà senza smartphone è impossibile, eppure il primo iPhone risale al 2007, appena undici anni fa. Rendiamoci allora conto che il mondo è cambiato e che l’accademia non può più restare ferma tralasciando trent’anni di produzione letteraria o riducendosi talvolta a ridicole asserzioni come “la letteratura è morta”.

Occorre adesso fare qualche precisazione. Gli studi di critica letteraria sulla letteratura contemporanea ci sono. Ma si leggono fuori dalle università, su riviste specializzate raramente accessibili al pubblico (per fama, pubblico di riferimento e, talvolta, prezzo). E comunque troviamo spesso un nucleo ben definito di autori (pensiamo al gruppo celatiano).

La gente comune, mettiamola così, magari fa un percorso universitario e poco altro. E dovrebbe essere compresa in questo percorso una via d’accesso alla letteratura contemporanea. Cosa che manca, se non in rare occasioni.

Partendo da ciò, si poteva realizzare un progetto in vari modi. Quello migliore sarebbe stato, probabilmente, la creazione di una rivista di saggi, un qualcosa che fornisse materiale di un certo livello come supplemento allo studio universitario. Ma un qualcosa del genere sarebbe stato comunque di nicchia e non avrebbe lavorato bene su una piattaforma web (per i soliti motivi che già conosciamo: scarsa attenzione, tempi di lettura e via dicendo).

‘Grado Zero’ non è certamente la risposta perfetta al problema. La speranza è che sia parte di quella risposta: un luogo dove trovare informazioni e analisi sulla letteratura contemporanea (per limitarci, ora, al discorso in atto), che siano accessibili anche a chi non ha forti competenze critiche e che siano gratuite. La speranza è accendere una scintilla di curiosità.

Come dicevo: vogliamo essere parte della risposta, nulla di più. Là fuori ci sono altre realtà come la nostra, che lavorano peggio, che lavorano meglio, che hanno target simili o diversi, che hanno altre linee editoriali. Poco importa. È un modo di fare rete, di fare cultura tutti insieme, ognuno a modo suo.

Secondo
Credo che a volte si paghi lo scotto di essere un paese con un illustre passato letterario. In Italia – eredità dell’antica Roma, probabile – c’è molto il culto dell’antenato e a volte si manca di dare onore e merito a chi c’è adesso. E se da storica dico che è vero, è difficilissimo identificare un pattern o una corrente mentre vivi il tempo presente, d’altro canto è vero, siamo in un tempo sempre più veloce, tanto che il divario da qui a trent’anni fa è davvero importante.

Di ‘Grado Zero’ mi piace molto la sinergia che si crea tra i vari argomenti; come se voi, in un certo senso, il pattern della contemporaneità lo interpretaste già. Credi che tra ieri e oggi sia cambiato il modo di recepire e interpretare stimoli? E lo dico dal punto di vista non soltanto di ‘critico contemporaneo’, ma anche di autore che magari vorrebbe una critica impostata sulla griglia di oggi e non di ieri.

L’impressione che ho sempre avuto – ma sia chiaro che di impressione si tratta, e non è suffragata da dati concreti – è che si abbia una forte paura di essere smentiti. Immaginiamo la scena: scriviamo un bel saggio articolato e interpretativo sull’ultimo romanzo di Tizio Caio, e questo viene a dire che no, non abbiamo capito niente. Con un autore morto, questa cosa non succede.

D’altronde – qui tocco un tema a me molto caro – la critica contemporanea a me pare si stia configurando sempre di più come interpretazione del testo e null’altro. Siamo certamente d’accordo che l’interpretazione ha una sua importanza, ma una critica più fondata sul “come” che sul “penso” potrebbe dare molto, ancora molto. Il problema di una critica basata solo sull’interpretazione è che due critici possono dire cose opposte, trovare qualche riferimento nel testo a suffragio della loro tesi, ed ecco che nessuno può dire chi abbia ragione: di fatto hanno ragione entrambi e non ce l’ha nessuno.

È come se dopo la fortissima impronta data da formalismo e strutturalismo, si sia cercato di allontanarsi il più possibile dal come sono fatte le cose, e ci si è rifugiati nel contenuto. Credo davvero che dovremmo recuperare una dimensione più equilibrata fra le parti che compongono un testo letterario. Lo spettro dello strutturalismo è lontano per averne ancora paura.

Per passare alla seconda parte della tua domanda, ‘Grado Zero’ cerca proprio di fare questo: consci dei limiti che la prospettiva storica impone, cerchiamo di vedere come la produzione culturale ci parli del mondo in atto. Cerchiamo, insomma, di vedere quanto c’è già di interpretabile. Ed è naturale, per rifarmi alla parte finale del tuo intervento, che il modo in cui i simboli vengono interpretati cambia. Pensiamo a cosa un computer potesse significare negli anni ’80 e cosa significa oggi. Ciò che rende davvero ‘contemporanea’ la letteratura di oggi è che gli autori che la scrivono vivono questo tempo, vi sono immersi – come vi siamo immersi noi – e non possiamo aspettarci che delle strutture analitiche vecchie di decenni possano applicarsi perfettamente ancora oggi. Qualcosa andrà bene, qualcosa no.

Naturalmente questo discorso non può e non dev’essere fatto all’acqua di rose come lo sto facendo io ora: non possiamo svegliarci un mattino e inventare nuove strutture di interpretazione. Ma il problema dobbiamo porcelo, altrimenti ci facciamo andar bene definizioni di fine Ottocento che avevano a che fare con diverse concezioni di romanzi e racconti, tanto per fare un esempio. La letteratura cambia, e cambiamo anche noi. Non vedo perché la critica dovrebbe restare uguale a se stessa.

Contorno
Credi che un limite della critica sia anche quello di non saper recuperare quanto di contemporaneo si può leggere in un testo non contemporaneo?
‘Grado Zero’ esce dagli schemi, ti è mai capitato di operare questo scambio? Un po’ una sorta di continuo dialogo tra ieri e oggi, che dovrebbe essere in effetti in parte circolo virtuoso e in parte una vera e propria operazione di recupero e ricollocazione.

Dal mio punto di vista, trovare qualcosa di contemporaneo in un classico ci mette davanti a diverse strade. La più semplice è quella che porta all’errore di interpretazione (cioè: leggere il passato con gli schemi odierni). Potrebbe però essere utile per capire quanto alcuni aspetti del passato si ripercuotano ancora identici o simili sul nostro tempo.

In via generale, comunque, trovo che sia un’operazione problematica e che non ha molto senso d’essere in un’ottica prettamente critica.

Su ‘Grado Zero’ cerchiamo di mantenere la prospettiva storica, e quelle rare volte in cui ci siamo occupati di testi meno contemporanei abbiamo cercato di farlo con la giusta ottica. Concentrandoci sul contemporaneo, è un’eventualità che non accade spesso, se non in caso di testi poco noti o autori semi-sconosciuti.

Dolce
Tu prima parlavi di strutture. Nuove strutture, vecchie, vecchie strutture per nuovi romanzi. Ma, come hai detto, non possiamo farci carico adesso di una struttura che è ancora in divenire. Ci vogliono anni per identificare un processo storico e questo vale anche per la critica, per il ‘paradigma’, si direbbe in antropologia.
Te la sentiresti di suggerire un approccio al testo più spontaneo, senza la schematicità della critica ma magari con più integrazione di quelle che sono le dinamiche di un autore che – hai detto tu – c’è e può dire la sua?

Domanda assai difficile. Credo saremo tutti d’accordo che non si può progettare – quand’anche io ne avessi le capacità – un nuovo modello di critica durante l’assaggio del tiramisù.

Quello che posso dire è un insieme di punti su cui – secondo me – si deve lavorare. Lo dico con la più umile delle voci, poiché io sono qui a parlare di un progetto che è ‘Grado Zero’, non sono certo il maestro dei maestri della critica. Né demonizzo la critica, che è ancora strumento fondamentale per l’approccio alla letteratura, e lavora in maniera egregia sui classici e sull’impostazione filologica. L’unico appunto – metodologico e ideologico, potremmo dire – è sul rapporto con il contemporaneo.

E allora il primo punto è proprio questo: la critica dev’essere strumento e non riferimento. Avremo letto tutti dei saggi che si limitavano a collegare citazioni e concetti esposti da altri. Bisogna recuperare una dimensione in cui la critica è lavoro attivo sul testo. È importantissimo tenere in considerazione gli studi precedenti, ma se l’obiettivo è aggiungere qualcosa – fosse anche una sola virgola – a un concetto già enunciato, allora forse non ne vale la pena. La critica deve tornare a lavorare sul testo con la forza delle conoscenze acquisite, non delle conoscenze citate.

Secondo punto: bisogna tornare a lavorare su tutti i piani del testo, non solo sull’interpretazione. Dobbiamo tornare a occuparci di cosa significano le parole che pronunciamo – romanzo, racconto, letteratura –, un qualcosa che – salvo virtuose eccezioni – abbiamo smesso di fare. Dobbiamo recuperare quell’area della critica che è la teoria della letteratura, che ancora esiste ma è relegata a un angolino.

Terzo punto: Non dobbiamo avere paura di sbilanciarci e sbagliare. Fare critica su un testo contemporaneo ci può esporre – come già detto – alla smentita dell’autore. Pazienza. Ciò che dice l’autore non sempre è affidabile, lo sappiamo bene. Non è sempre consapevole, lo scrittore, di tutto ciò che scrive, né è sempre volenteroso nel dire la verità. Ma la letteratura è oggi un unico grande libro in cui leggere la nostra realtà. Non possiamo esimerci dal farlo. Non possiamo limitarci a parlare di ciò che è stato. Noi viviamo oggi, e se l’intellettuale – qualunque significato abbia assunto oggi questa parola – ancora può fare qualcosa, è proprio non restare indietro e guardare a ciò che ha sotto gli occhi. Usare la sua intelligenza, la sua sensibilità critica, la sua competenza ed esperienza per svelarci qualcosa in più su ciò che siamo, su chi siamo. I libri hanno questo potere, lo sappiamo. La critica dovrebbe permettergli di adoperarlo.

 

digestivo
… e sapete chi altro scrive su ‘Grado Zero’?
Indizio, è passato poco tempo fa nella cucina letteraria di #readEat. Esatto, si tratta di Antonio Esposito!

Intervista a Maurizio Vicedomini, editor e direttore della rivista online ‘Grado Zero’.

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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