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editing, coaching, brunch: Federica Piacentini

Questa settimana, Spizzichi e bocconi vi porta oltre oceano!
L’ospite in questione vive a New York, e il mio animo da mangiona già immagina l’aria satura di colazione a base di bacon, uova e pancetta. Quindi ho invitato Federica Piacentini a un brunch nella cucina letteraria di #readEat, e con lei si parlerà di percorsi, scrittura, editing e coaching!

Antipasto
Ciao Federica, che bello averti qui! 
Tu sei una editor, proponi servizi editoriali e non solo, ti proponi anche come tutor per autori dalle storie in stallo.
Giusto per sciacquarci la pancia, come si dice da me, io inizierei subito a chiederti cosa intendi quando parli di ‘identità narrativa’. 

Ciao Ida! Sono altrettanto felice di essere qui e grazie per il tuo invito.

Sono un editor, un mentore e un writing coach. Nei miei servizi editoriali queste tre figure si alternano dando vita a percorsi di crescita creativa del tutto unici. Un buon editor sa revisionare un testo e intervenire in maniera adeguata, un buon mentore conosce le tecniche e le nozioni giuste per superare guadi narrativi, un buon coach mantiene fisso lo sguardo dell’autore sull’obiettivo finale, un passo per volta. Queste discipline mi aiutano proprio a definire l’identità narrativa di un autore, dunque ti ringrazio per questa preziosa domanda.

Cosa significa? Da un verso scovare la voce unica di uno scrittore, il suo stile, dall’altro cogliere le storie che ha dentro. Noi tutti siamo narratori, noi tutti siamo inesauribile fonte di creatività. Soltanto alcune storie tuttavia sono nostre, abitano cuore, testa e ossa di un autore e quelle devono essere raccontate, con cura, con attenzione. Dunque, l’identità narrativa di un autore è il suo stile, che va cercato e portato alla luce, come un diamante grezzo, e la storia che dovrà consegnare ai suoi lettori, quella che tra centinaia non ha mai smesso di tenere in vita il suo desiderio di scrivere.

Primo
Rubo la definizione di Sara Gavioli quando dico che l’editing è un’operazione di maieutica, in effetti, ma è anche il personale Cammino di Santiago dello scrittore sulla via della realizzazione, no? Ultimamente sui social ho letto di qualche polemica sul fatto che case editrici differenti proponessero differenti Cammini per i loro autori. Che in un certo senso, il percorso di editing che si attua in una grande casa editrice è differente da quello proposto in una realtà piccola o media. 

Tu che ne pensi?

L’editing è una disciplina antica, un mestiere di bottega, fatto di norme e tradizioni, che si impara a maniche di camicia alzate. Questo per dire che si lavora sodo sul testo, ma poi occorre tempra e fiato, altrimenti è difficile arrivare all’ultima pagina. Naturalmente è un’operazione di maieutica e naturalmente è un percorso diverso per ogni autore: non si interviene alla stessa maniera su tutti i testi e ogni autore ha i propri limiti da affrontare e le proprie doti da lustrare. Un buon editor è ben consapevole di questo processo.

Nella mia bottega, il coaching, che è un ascoltare attento e la capacità di porre le giuste domande, è uno strumento fondamentale per aiutare i miei autori in un processo di crescita consapevole. Per giungere a una grande casa editrice, che ha ritmici frenetici e standard elevati, un autore deve già aver raggiunto una certa coscienza di sé, in quanto autore appunto, e della propria scrittura, oltre che di un meccanismo editoriale importante e spesso poco noto. Le realtà piccole e medie hanno difficoltà diverse, quali badget e tempo, ad esempio. Queste sono soltanto alcune delle ragioni per cui si lavora in maniera diversa al testo di casa in casa. C’è anche chi decide di non editare un testo e pubblicarlo senza remore, a danno dello stesso autore, ancor più se esordiente, ma questo comportamento, affatto professionale, non trova certo spazio sotto l’ombrello della serietà.

Ai miei autori ricordo che Elsa Morante, Pierpaolo Pasolini, Cesare Pavese, Natalia Ginzburg, tanto per citare alcuni nomi, erano editor l’uno dell’altro e con umiltà accettavano correzioni e incoraggiamenti. A mio avviso questo atteggiamento, oltre che un talento indiscusso nell’inventare storie che sappiano di realtà, è ciò che li ha resi amatissimi e immortali. Per quel che mi riguarda, lo dico dai miei primissimi piedi nel campo: l’editing è sempre una meravigliosa e affascinante avventura, un abito cucito a mano, una scommessa, da affrontare con serietà, responsabilità ed entusiasmo. Questo mestiere mi è cascato tra le braccia. Camminando sulla ventitreesima, ho riflettuto sul fatto che sono oggi l’editor che avrei voluto incontrare quando avevo vent’anni, e di questo sono molto fiera.

Secondo
Bene, direi che a questo punto te la sei chiamata.
Arriva il momento biografia!

Ho 34 anni, da due e mezzo vivo a New York City. Bevo caffè senza zucchero e amo passeggiare per le avenue della città. La scrittura ha sempre fatto parte della mia vita sin da bambina, le storie, in particolar modo. Mi raccontavano storie epiche, spesso inventate, non ne avevo mai abbastanza. Mio nonno era un grande appassionato di opera e lì ce n’erano di ogni tipo. Alle scuole elementari ho avuto una maestra di italiano meravigliosa, cui devo tutto, con la quale trascorrevo pomeriggi interi. Mi rimproverava, quando commettevo degli errori, era severa, mi leggeva qualsiasi cosa, mi adorava. Vedeva in me, nei miei silenzi, nella mia serietà, qualcosa che agli altri sfuggiva. Fu lei a regalarmi un primo quaderno, assai spesso, da riempire.

Poi il liceo classico, durante il quale scoprii Dante, e le due lauree, la triennale in Scienze dei Beni Storico-Artistici, Musicali, Cinematografici e Teatrali a Siena e la magistrale in Editoria e Giornalismo presso La Sapienza. Ho conosciuto l’editing alla Luiss Guido Carli, durante la LUISS Writing School, la scuola di specializzazione in Scrittura Creativa di Roberto Cotroneo. Ci fecero un test di scrittura creativa, che superai: un raccontino da scrivere combinando degli elementi in circa trenta minuti o poco più, non ricordo. Lì ho imparato il mestiere, di cui non sapevo nulla. Il mio obiettivo era un altro, avevo ancora le idee molto confuse su cosa volessi fare nella vita. Mi si è spalancato un mondo che prima d’allora non sapevo neppure esistesse. Ero scontrosa, me ne stavo per conto mio, desideravo fortissimamente imparare. Questo sì, lo sapevo.

Che belle le lezioni di Sandra Petrignani, Alberto Castelvecchi, Cinzia Tani, Corrado Augias, Roberto Santachiara, Carlo Lucarelli, e molti altri. Loro mi hanno insegnato tutto: cosa significa far libri, editarli, cos’è l’editoria, il rispetto verso gli autori e le opere, il diritto d’autore. Nella testa risuonano ancora alcune parole che oggi, ad anni di distanza, si fanno più chiare per un verso, più dense per un altro. Fuori da lì, si sono susseguiti stage e manoscritti, autori e colleghi più grandi o più noti, che mi hanno passato importanti insegnamenti, gelosamente custoditi e generosamente applicati. Ho confezionato il mio bagaglio di esperienze, un tesoro gigantesco, fatto di olio di gomito e impegno quotidiano. Sono passati un po’ di anni. Pian piano questo mestiere, cui mai avrei pensato, mi è cresciuto tra le mani, è lievitato, è diventato condiviso.

Non ho scelto di diventare un editor: a furia di maneggiare storie come bambole da bambina, mi ci sono ritrovata dentro ed è diventato naturale comporle, scomporle, sentirle, apprezzarle, domarle. Ho iniziato a guidare istinto e intuito e a unirli a tutto ciò che avevo imparato da buona allieva a scuola.

L’ultima specializzazione è arrivata quest’anno, il Coaching, presso l’Erickson Coaching International Academy. Sono uno dei pochissimi coach certificati, posso cioè esibire una certificazione che molti, pur dichiarandosi coach, non hanno. Devo dire che tutto è servito alla costruzione di ciò che sono. Quando edito, quando seguo i miei autori durante i tutoring, quando insegno, porto come me tutto questo e ricordo ai miei autori che la scrittura stessa come la vita è in fieri, ovvero in continuo mutamento, trasformazione, e che ogni cosa diventa chiara con il tempo. Nulla è così automatico, neppure scrivere una storia. Sono molto grata del mio intero percorso, difficile magari, in alcuni momenti, ma stimolante, sorprendente.

Contorno
Allora lo fai apposta, a chiamarti le domande! 

Il discorso sul coaching è interessantissimo. Molti affidano all’editor un romanzo già finito (almeno secondo loro – risata malefica), qualcosa che appunto, l’editor scompone e di cui aiuta a chiarire le zone d’ombra.

Fare da coach letterario in cosa consiste, esattamente? Qual è la differenza tra intervenire in uno scritto già formato e in uno ancora in fase di sviluppo?

Intervenire su un romanzo già scritto è molto complesso ma non impossibile. L’editor fa la differenza, meglio ancora se è un coach. Bisogna tagliare, modificare, aggiungere, e non sempre questo viene accettato di buon grado da un autore, anzi. Allora bisogna creare soprattutto fiducia e indagare le ragioni per le quali vi sono tali resistenze, e nel caso rimuoverle. Ecco che dismetto il berretto da editor e indosso la tonaca da coach. Bada bene: il coach non è quello che ti fa fare mille flessioni. È un’idea non veritiera, comune a chi non sa nulla di coaching. Il coach è colui o colei che ti sprona a guardare in te stesso per capire se ciò di cui hai bisogno è fare mille flessioni, una passeggiata nel parco o il giro del mondo.

È una disciplina delicata per la quale bisogna essere preparati, aver studiato, sviluppare alcune doti fondamentali, una tra tutte la capacità di ascoltare. Lavorare sulla stesura di un testo, invece, permette da una parte di evitare alcuni errori grossolani, che commettono molti autori alla prima esperienza, dall’altra di indagare a pieno la propria creatività, esplorarla, uscire fuori da alcuni stereotipi e comprendere cosa significa scrivere davvero. Essere insomma più consapevoli, non soltanto di alcuni aspetti meno noti della creatività, ma anche dell’editoria stessa e delle sue regole.

Questo momento embrionale è la stanza dei giochi, la fase in cui possiamo far tutto. Smontare è meno traumatico e invasivo. Sperimenti, provi, ascolti, zampillano idee finché non becchi il fiume. Attraverso il coaching attiviamo alcune aree cerebrali adibite proprio all’immaginazione e così accedere ai nostri flussi creativi. Il discorso, che poggia su basi scientifiche, è poi più ampio e complesso. Tuttavia anche in questa primissima fase insieme all’entusiasmo possono palesarsi ostacoli e difficoltà e ancora una volta torniamo ad ascoltare l’autore e a capire come risolvere il problema secondo le sue stesse risorse e necessità.

Vedi, in tanti anni ho compreso che quel che impedisce a molti di raggiungere i propri sogni, anche al di fuori della scrittura, è la paura, il più grande impedimento. Paura di sé stessi, dei giudizi della famiglia o della società, di non farcela, del fallimento, di scoprirsi portati per fare altro. Oppure l’idea di aver imparato tutto, di avere poco altro da mettere nel cestino. La scrittura al contrario è una continua scoperta. In tutti e due i casi manca la riflessione su sé stessi, che precede il lavoro sul testo. Ecco per quale ragione ho deciso, grazie a un provvidenziale consiglio, di specializzarmi nel coaching. Assisto, ovvero guardo e sostengo, i miei autori durante la ricerca di sé e nell’emozionante ed eccitante ricerca della loro creatività. Questo è ciò che fa un coach eccellente. Ascolta, fa domande, non giudica. È lì per te, in maniera pura ed esclusiva.

Dolce
Mia cara, siamo arrivate al dessert! 
Scrivere è un fantastico atto di esplorazione, ma al contempo un autore è fragile, perché in un modo o nell’altro la sua scrittura lo mette a nudo davanti al mondo. 
La scoperta del coaching in un certo senso tranquillizza, sono sicura che vivere la nascita di una storia in concomitanza con la crescita di una persona sia un’esperienza bellissima. 
Ti farei mille e più domande su questa pratica, sicuramente da parte mia cercherò di documentarmi di più. 

Per ultimo, ti chiedo: pensi che la figura del coach possa arrivare a soppiantare quella dell’editor tradizionale? 

Scrivere è anche un rischio e quando riusciamo a comprendere che quel che mettiamo a nudo non è il nostro sé più intimo, ma il nostro sé narrativo, ovvero la nostra creatività, tutto cambia. La creatività è poi un torrente purissimo che rinfresca polsi e guance. È affascinante, e commovente insieme, dal mio punto di vista, assistere alla nascita, al fiore che sboccia, alla luce che finalmente vien fuori: qualsiasi sia la realtà di ciò che siamo – intendo scrittori, autori, o altro nella vita – ecco, questa realtà è il dono che illumina il mondo e lo rende un posto migliore.

Io resto in disparte a guardare, a dare fiducia e coraggio. Se poi questa luce è una storia magnifica da condividere con gli altri poiché noi tutti in essa ci rispecchiamo seppur per una qualche minima ragione, non posso che essere al settimo cielo, perché un altro mattoncino è stato messo al suo posto. Naturalmente sono molto orgogliosa dei miei autori, dei loro progressi, nel modo in cui hanno imparato ad affrontare ogni sfida o difficoltà posta dalla scrittura e dai suoi processi di pubblicazione.

Non so se il writing coach – il coach può essere applicato ad altri ambiti nella vita, quali il business, le relazioni interpersonali, ecc. – potrà soppiantare la figura dell’editor tradizionale. Nella mia bottega queste due figure si sono già fuse nella mia persona generando qualcosa che ancora forse non esiste.

Ho in mente di trasferire quanto ho imparato e sto imparando a una classe di giovani volenterosi, tutti coloro che oggi mi scrivono per diventare editor. È uno dei miei progetti futuri. Perché prima dei libri vengono le storie e prima delle storie vengono le persone, i loro destini. Ho fatto mie alcune parole che Leone Ginzburg scrisse alla sua Natalia e che ho tratto dalla recente biografia di Sandra Petrignani sulla scrittrice, biografia peraltro candidata al prossimo Strega: «Scrivi. Fai qualcosa per gli altri. Sii coraggiosa.» Fare qualcosa per gli altri: questo è il mio mestiere.

 

digestivo languido
le parole di Federica sono state preziose, dedicarle quest’intervista confesso che mi ha portata a farmi nuove domande, a riguardare il mio lavoro e in cosa consiste, cosa significa per me.
Lettori, spero che questa esperienza possa tornarvi utile per capire quanto davvero c’è dietro un libro.

Credo che leggere comprenda in parte abbracciare quelle che sono le fragilità di una persona, di uno scrittore, e in parte farle proprie. E credo anche che percepire queste fragilità sia la vera magia che ci spinge ad amare una penna piuttosto che un’altra.

Scrittori, ovunque voi siate, confido che possiate sentirvi accolti dalle parole di Federica, così avvolgenti da far sentire coccolata anche me.

 

 

 

intervista di #readEat – libri da mangiare a Federica Piacentini. Editing, coaching e amore per il mestiere.

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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