Miei cari lettori, la mia dieta procede, che si dice della vostra?
Mentre voi decidete quale pietanza abbinare al vostro pasto letterario, io condivido la tavola virtuale con Chiara Beretta Mazzotta, editor e creatrice di BookBlister.
Antipasto
Chiara Beretta Mazzotta, sembra una sviolinata ma desidero intervistarla da quando mi ha dato dei bellissimi consigli sulla mia vita professionale!
Quindi, siccome quello è stato il mio primo amore, parliamo di Bookblister per una domandina facile, di riscaldamento: com’è nata l’idea?
L’idea è nata da una esigenza: raccogliere i “consigli da leggere” che suggerivo in radio (I libri a Colacione, su Radio 105), perché molti ascoltatori si perdevano i titoli, li confondevano… e mi chiedevano informazioni. All’inizio usavo le note su Facebook ma non sono comode e poi sono di Facebook! Così ho pensato che avere un mio quartier generale libresco potesse essere una idea pratica, sia per me sia per gli ascoltatori. Adesso ci sono circa 1500 articoli… di spazio ne ho occupato parecchio.
L’obiettivo non è mai stato recensire – lo fanno già in tanti e bene – ma far incontrare lettori e libri: in un mercato saturo di proposte (66.757 titoli pubblicati nel 2017) per chi legge intercettare testi di suo gusto è una piccola impresa. Le mie pillole sono piccoli inneschi, un assaggio – per stare in tema! – per avere una idea di una storia o di un saggio e, si spera, per alimentare una curiosità.
A me interessano gli esordi, gli italiani e i titoli meno noti. Degli altri parlano gli altri. E non sono una appassionata delle stroncature, a meno che non possano essere utili o molto divertenti. Una buona risata è sempre un buon motivo.
Poi è sopraggiunta un’altra esigenza: spiegare l’editoria perché l’editoria è un mistero. E i misteri possono essere belli e affascinanti ma se vengono adoperati contro di noi, cioè se vengono usati per “disarmarci” e spillarci quattrini, diventano un problema. Agli autori esordienti capita così, magari sono super attenti e professionali nel loro settore ma appena mettono un piede in editoria si trovano in un territorio ostile pieno di non detti e tranelli. Io cerco solo di raccontare le cose come sono.
Inutile dire che spiegare ti permette di imparare meglio, quindi credo sia una sorta di corso di aggiornamento perenne. Indispensabile per tenere i piedi ben piantati a terra.
Primo
Ecco, parliamo del 2017. 66757 titoli, ha detto.
Mettendo un attimo da parte la piaga dell’editoria a pagamento, mi viene da chiedere a lei che è sicuramente molto, molto più addetta a lavori: perché così tanti?
Per citare qualcuno, ‘un tempo gli editori suggerivano di smettere di scrivere’. Adesso no, mi rendo conto anche io che si è diventati molto più indulgenti, i social aiutano tutti nell’arduo compito di dire la propria e sono vagamente provocatoria quando dico che dalle citazioni in stile Perugina ad hashtag di tendenza, in giro si respira sempre più la sindrome di Shakespeare.
Secondo lei, scrivere è diventata una moda del momento?
Perché si ha la sensazione che gli editori abbiano smesso di dire ‘no’?
Gli editori non sono più indulgenti, dicono tantissimi no. Gli agenti letterari idem. Gli editor pure. Io dico no al 95 per cento dei testi. Forse 97.
Gli editori trattano i libri come fossero prodotti (e invece sono più simili a prototipi) e invece di dettare una “moda” vanno dietro a improbabili e indefinibili gusti del lettore. Pubblicano molto, perché stampano poche copie per ciascun titolo (stampare non costa più) ma più titoli. E più titoli significa avere più occasioni per azzeccare il libro giusto, cioè quello che piace e si spera venda.
Gli editori seri non cercano manoscritti, ma scrittori. Chi si rivolge agli eap (gli “editori a pagamento”) o non conosce il settore o non vuole accettare il rifiuto.
Si può lavorare sui primi, dando le informazioni necessarie per capire meglio i meccanismi editoriali. I secondi compiono invece una scelta ben precisa. Siccome scrivere libri non è cosa facile, è assai probabile scrivere qualcosa di scarso valore. Se poi nel libro ci metti tutto – sogni, desiderio di rivincita – un rifiuto diventa una coltellata. E allora arrivi a pagare non per un libro (per quello è necessario uno stampatore) ma per sentirti chiamare “scrittore”.
È come lavorare per qualcuno, a fine mese pagare lui per averci fatto lavorare ed essere felici quando dice ad alta voce che noi “lavoriamo” per lui.
Secondo
Ecco, la sua risposta è il via libera a diverse domande che cercherò di distribuire nel corso delle portate!
La prima di queste riguarda lei, come agente. Il 95 percento, probabile 97, ha detto.
Cosa deve avere uno scrittore (perché di questo si parla, a quanto ho capito) per poter lavorare con lei? Cosa le fa dire ‘sì, lo voglio’!
Io non sono una agente!
Sono una editor. Beretta Mazzotta è una agenzia editoriale e mi occupo di fornire servizi editoriali. Soprattutto cerchiamo di colmare una lacuna: mettiamo in contatto autori e agenti. Perché per un autore arrivare un editore è una impresa. Quando scopre che per arrivare all’editore c’è bisogno di un agente realizza quanto faticoso sia farsi rappresentare.
Per questo motivo faccio da scout, leggo e valuto testi e cerco di aiutare gli autori nel percorso di revisione, e se il libro ha delle qualità lo propongo a una delle agenzie con cui collaboro (a seconda del tema, dello stile e delle richieste degli agenti).
Cosa deve avere un testo? Una identità, deve essere solido a sufficienza da non mettere l’autore nella penosa condizione di essere attaccabile. Perché scrivere è un percorso e la pubblicazione conta, ovvio, ma è solo un passo e non dovrebbe essere falso, se no è l’ultimo.
Quando leggo, se immagino il lettore, se intuisco quale agente potrebbe gradirlo… allora significa che ho qualcosa per le mani. E si fa di tutto per vederlo sullo scaffale di una libreria.
Contorno
Posso essere sentimentale e chiederle cosa vuol dire per Beretta Mazzotta editare un testo?
Che lavoro svolge e come si approccia all’autore?
(Ora, un po’ tutti vediamo i video di Bookblister e sì, siamo tutti curiosi di sapere, in realtà).
Editare un testo significa letteralmente prendermene cura.
L’autore crea mondi ma chi permette all’autore di essere trovato e letto… scopre. Lo stupore della scoperta è una emozione che solo a nominarla batte il cuore, proprio così. Senza contare che io, a differenza dell’autore, posso gridare: è un libro bellissimo! Esperienza quanto mai liberatoria.
Sento poi anche la responsabilità verso la creatività degli autori. Danneggiare un talento dovrebbe essere punito dalla legge. Ma anche non dare spazio alle anime creative è il male. Alcuni smettono di esserlo perché le riserve non sono infinite.
Il mio lavoro in concreto? Consiste prima di tutto nel risolvere dubbi e rispondere alle domande sull’editoria. Fare chiarezza… sarà colpa del nome? Poi leggere con attenzione il lavoro di chi non trova attenzione. Dare all’autore un giudizio e gli strumenti per lavorare al suo testo. Appunti, una scheda, tempo speso assieme a ragionare sulle idee… le modalità sono diverse. Prendersi cura significa anche adattarsi alle esigenze di chi scrive. Gli editing classici? Ci sono ma se posso scegliere è bene che ci sia un progetto editoriale cui puntare.
Ogni giorno poi c’è il tempo dedicato alla lettura, a BookBlister, a Radio 105, ai social e ai contenuti che produco (video, podcast, post…).
Dolce
Ecco, parliamo delle anime creative a cui spesso non si è attenti.
Si sentono spesso gli esordienti ‘lamentarsi’ di non avere accesso alle big farm dell’editoria, perché… perché il commerciale, perché il rapper, perché lo youtuber, insomma, si sa.
Ovviamente, distinguendo debitamente gli emergenti lamentosi da quelli talentuosi, le chiedo come si può arrivare alla grande casa editrice, quella presente dalla libreria al supermecato.
Sono casi di mancato ascolto oppure delle scelte editoriali ben mirate?
Esordire non è una cosa semplice.
C’è stato un momento d’oro degli esordi (La solitudine dei numeri primi, docet) ma per un editore puntare su un novo autore è un triplo salto mortale.
Non ha numeri per affascinare i suoi clienti, cioè i librai, non ha una storia di pubblicazioni di successo per convincere i lettori. Devi costruire l’immagine dell’autore, trovare il modo di collocarlo sul mercato… quindi deve investire di più.
I margini dell’editoria però sono pochi. Negli ultimi tempi, causa crisi, sono state tagliate le redazioni e si fa sempre più fatica a promuovere ciò che viene pubblicato. Quindi, chi oltre al contenuto può contare su una community a cui proporlo, è ben visto. Ed ecco perché i vip, le webstar e compagnia cantante (che mi pare particolarmente calzante come modo di dire!).
Ma gli editori hanno sempre bisogno di nuove voci. Di nuova linfa. Basta leggere il Libraio, ogni anno dedica un pezzo agli esordi che verranno. Quindi guai a lamentarsi – a meno di non avere tempo da perdere – e sotto a lavorare al proprio testo. Senza dimenticare che, anche se dovesse andare tutto bene, e si finisse per trovare “casa”, non basterà l’ufficio stampa dell’editore. I social ci hanno trasformato in media di noi stessi, in brand di noi stessi, è una grande forza se usata bene ma richiede moltissime competenze.
Caffè
Esatto, quello che lei dice essere un ‘drago’ della comunicazione.
Non dimentichiamo che oggi anche quelli della compagnia cantante investono in prima persona sulla propria immagine sfruttando social. La differenza con un autore credo stia nel numero degli sforzi.
Ad ogni modo siamo al caffè, Chiara, io non vorrei mai lasciarla andare specialmente quando parla di esordi e Paolo Giordano, di fatto l’ultimo incasso di grande numero, e ormai sono… dieci anni?
Credo che il cambiamento e la super-differenziazione delle proposte editoriali renda ormai difficilissimo raggiungere i due milioni di copie vendute. Secondo lei un esordiente se ne rende conto o sono gli editori a dover parlare più chiaro?
Eh no, è proprio vero. Moltissime volte parlo con autori che non hanno proprio contezza delle dinamiche del settore e dei profitti degli editori e degli autori. O anche dei librai. Chiediamo al libraio lo sconto senza renderci conto che il margine del libraio è piccolissimo: il costo del libro meno il prezzo a cui l’ha comprato, scontato, dal distributore. Lo sconto è del 30-35 per cento. Quindi se il libro costa 15 euro con il massimo dello sconto il margine del libraio è 5,25 euro e con questi soldi deve vivere (e pagare tutte le spese!). Quanto guadagna un autore? Diciamo per semplificare 1 euro a copia. Quanto vende un autore? Se raggiunge le mille copie si fa festa! Venderne 3/5000 è già una gran cosa.
In passato il prezzo della stampa imponeva di stampare molte copie di un libro. Oggi se ne possono stampare anche solo 300. Quindi se la tiratura prima era di 3/6.000 copie oggi è di 300-1500 copie. Si stampano meno copie ma più libri. Solo che per vendere bisogna essere in libreria. Quante copie si devono stampare per arrivare nelle librerie? Minimo 2000 meglio se sono 7000! Quindi come fa un autore a vendere se non ci sono fisicamente le copie del suo libro in giro?
Vivere di scrittura è una impresa per pochissimi. La scrittura sta per questo smettendo di essere un mestiere – parlo del pubblicare i libri – ma il problema comincia a toccare i giornalisti – se sei freelance, fai la fame – arrotondi se ti va bene, alle volte neppure quello perché gli anticipi e le royalty le investi per fare le presentazioni in giro per l’Italia o per pagarti un ufficio stampa esterno.
Direi che tutti dovrebbero parlare chiaro. E i numeri, quelli veri, dovrebbero girare
digestivo
avete visto? Ho imparato a inserire un sottotitolo.
Certo, ci ho messo il mio tempo, ma dicono che l’importante sia arrivare.
Intanto, però, è dovuto un sentito grazie all’editor Chiara Beretta Mazzotta, che ha avuto un pensiero per #readEat nonostante un attacco hacker. Grazie davvero!
E se siete incuriositi e avete voglia di conoscere il punto di vista di qualche altro editor, ricordo che la sezione Spizzichi e bocconi del blog è tutta un buffet!
l’intervista di #readEat all’editor Chiara Beretta Mazzotta