Salvare le ossa, che significa?
Sopravvivenza? Resistenza? Portarsi in salvo da un uragano che sente il bisogno di piegare un’intera città?
Un titolo come Salvare le ossa (click), appunto, rende l’idea di qualcosa da preservare. Una famiglia, una casa, un bambino, un segreto. Esch, ragazzina adolescente di Bois Sauvage, incinta di Manny, per cui la ragazzina prova un bruciante primo amore.
La vita di Esch si intreccia a quella della sua famiglia: il padre, vedovo alcolista; i fratelli Randall e Skeetah, uno patito di basket e l’altro di cani; il fratellino piccolo Junior, lascito di una madre che ha dato la vita per metterlo al mondo.
Tutti questi personaggi cercano un modo per salvare le ossa, le loro.
Nei dodici giorni che precedono l’avvento dell’uragano Katrina, ci si immerge anima e corpo nella vita della Fossa, casa sgangherata e dimora di questa famiglia, si impara a vivere i personaggi come parti di un unico essere.
Randall, Skeetah, Esch e Junior sembrano diversi, ognuno ben concentrato sui propri sogni e i propri drammi. Entrare al campo estivo di pallacanestro, garantire la sopravvivenza a dei cuccioli di cane, curare il proprio intimo segreto e, paradossalmente, essere soltanto un bambino in un mondo di adolescenti divenuti troppo presto adulti. Sono quattro eppure sanno farsi uno, ognuno per l’altro. Ma non platealmente, non c’è bisogno di grandi gesti. Ci sono in maniera silenziosa, sono le presenze nella Fossa che non ti fanno mai sentire davvero solo.
Il romanzo di Jesmyn Ward parla di vita vera, cruda, di quella vita che ti rimane sullo stomaco come un pasto che non mandi giù. La sua presenza è ingombrante, fa riflettere, le parole rimangono dentro anche a libro chiuso, con le immagini vive che pizzicano la testa, e le domande.
Chi è una madre?
Tutti si fanno madre, in Salvare le ossa. Madre è Randall, nel suo modo di prendersi cura del piccolo Junior. Madre è Skeetah, che cerca in tutti i modi di allevare i cuccioli della sua cagna da combattimento; il padre dei ragazzi si fa madre, cercando di prepararli all’uragano che verrà, come ogni genitore con i figli nei confronti della vita. Infine, madre è Esch, che cede il suo ventre al frutto, impara ad amarlo senza riserve, senza dubbi.
Cosa succede quando una madre non c’è?
Ci si fa scudo. Le fila si serrano, si è uno e tutti insieme. Nel libro è ben chiaro: ci si impegna a tenere solida una casa che, senza la sua colonna portante, lentamente declina. L’assenza di una mamma è ciò che determina la presenza dei fratelli, senza riserve. Discreta e continua.
Perché il riferimento al mito?
Perché il mito è fondatore di realtà, un linguaggio universale che, per la sua molteplicità di funzioni, si plasma negli occhi del lettore, rafforzando concetti e immagini.
Medea può essere vista come la maga straniera, outsider della società greca, o può essere vista come la donna che ha amato ed è stata amata, ingannata, respinta. In Salvare le ossa Medea è Esch, ma è anche la natura che ammazza i propri stessi figli con la forza dell’uragano.
Un libro del genere non poteva che essere pubblicato da NN Editore, la coerenza con la linea editoriale di questo marchio credo sia proprio nell’elaborazione cruda della realtà, senza filtro e senza sconto.
Non sono libri leggeri, Salvare le ossa non è un libro leggero. Tanti elementi, tante volte in cui la vita era così reale che ho dovuto distogliere lo sguardo e farmi coraggio. Salvare le ossa ti mangia e poi ti sputa, la crisi in cucina è stata prevedibile.
La cucina letteraria di #readEat, infatti, è andata in sovrapproduzione. Se scorrete la galleria, troverete più di un’immagine ad accompagnare il libro.
Come se fossi già in attesa del secondo, visto che questa è una trilogia, vi offro un primo piatto di torta rustica con ricotta e spinaci. I colori della torta mi ricordano Esch, la copertina, la Fossa e la Louisiana. C’è anche un po’ di uragano, in questo rustico. La ricotta e gli spinaci si fondono in un vortice, si trascinano l’uno con l’altro assorbendo il formaggio e il sale. Niente rimane separato, tutto diviene uno, colorato e nuovo.
Il secondo piatto è dedicato allo stile del libro. Deciso, come il macinato insaporito con le spezie e la cipolla. Un po’ macigno, come le papaccelle dentro cui è messa la carne. Cucinare un peperone per un romanzo che ha il suo peso potrebbe sembrare un messaggio ben poco sottile, eppure la papaccella è l’unico peperone che nella mia vita è altamente digeribile. Certo, è imponente e sulle prime ti rimane incastrato tra le costole, come Salvare le ossa. Ovviamente non mangiate un canestrino tutto intero, almeno fate una pausa di tanto in tanto.
La dolcezza della torta rustica dialoga bene con la presenza dei canestrini. Ritorna il tema della madre in entrambi i piatti, perché che si chiami pasta sfoglia o peperone, il caos che ognuno ha dentro è sempre accolto da braccia gentili.
la papaccella
è un tipo di peperone che ho scoperto tardi, nella vita. Il merito di questa epifania culinaria va alla suocera di mia sorella, nonna Teresina, che al contrario di me, sempre un po’ pignola, cucina la papaccella a pezzettini con quei due litri d’olio che insieme al pane cafone… che ve lo dico a fare.
Ad ogni modo, lettori, attendo sempre le vostre recensioni per la rubrica ‘Ognuno porta qualcosa’. So che siete tentati.