Il corpo dei ricordi (click), di Daniela Montella, è il libro che ha ufficialmente riaperto la cucina letteraria di #readEat. C’è qualcosa di settembre, qui, c’è quella malinconia nei confronti di un’estate che non sai ancora per quanto ti rimarrà dentro. C’è la voglia di tenere per sé i ricordi felici prima che l’anno, le scadenze e la routine opacizzino la sabbia, il viaggio e i momenti vivi.
Settembre è quel mese dove tutto è in potenza e ci si butta a capofitto in un progetto che, a volte, ci prende talmente tanto che dimentichiamo il punto di partenza. Sì, decisamente settembre è il mese per Il corpo dei ricordi, con tutte le nuove regole, i buoni propositi, il cambio stagione in attesa lì, nell’armadio.
In questo romanzo, edito da Milena Edizioni, viene descritta una società futura ideale: l’uomo ha sconfitto la morte, dandole un termine dignitoso; in caso di prematuro decesso, tutti i cittadini hanno diritto a essere clonati e a ricominciare da dove avevano lasciato, tramite un sofisticato sistema di salvataggio della memoria personale operato dallo Stato; ognuno decide il proprio termine con coscienza, in un arco di tempo dai novanta ai centouno anni.
Tutti sono felici.
Tutti tranne Yolande, straniera. Yolande viene da fuori, ha passato l’infanzia sulla costa, tra persone che non credono nei precetti dello Stato e anzi, la morte la considerano, ne fanno menzione, ne hanno timore. Alla morte della madre, la bambina cresce a casa della nonna, colei che ha contribuito a scrivere le leggi di cui beneficia lo Stato, grazie alle quali la morte viene debellata.
Yolande perde il marito in un incidente, e in attesa del suo ripristino (come un programma, l’aggiustamento di un’anomalia) ha il tempo di riflettere e interrogarsi sulla propria infanzia, l’eredità del pensiero materno, il vero significato di vivere con il pensiero della morte a farle compagnia.
Ne Il corpo dei ricordi le domande che la protagonista si pone sono tante, si sviluppano attraverso i capisaldi della società di cui lei non può fare a meno di mettere alla luce i paradossi.
Cosa significa, vincere la morte?
Vincere la morte significa scegliere quando andare via. Perfetto, ma cosa succede a chi resta? Cosa succede quando il tabù è tale da modificare i libri di storia? Soltanto inizi e nessuna fine, come se tutti fossero eterni. Tutti eterni, non fosse che hanno un Termine.
Questo grande empasse viene aggirato dallo Stato con la dimenticanza: ogni vita è importante, finché è viva. Dopo, chi non c’è viene dimenticato entro poco tempo, così come la sofferenza della perdita, è vero, ma anche come ciò che si è vissuto insieme.
Dunque puoi dire di aver vissuto, se nessuno si ricorda di te?
Per alcuni versi, Il corpo dei ricordi riporta alla mente il film Equilibrium, per altri il più recente telefilm Altered Carbon. In un mondo che si regge secondo i principi di inizio e fine, quando cerca di ingannare quest’ultima lo si fa negando tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta: emozioni, ricordi, lo stesso corpo fisico, intercambiabile. Ciò che più si avvicina alla perfezione è l’infinito, purtroppo però non esiste infinito che sia definibile o mutabile.
Non potendo mettere l’infinito nel piatto, ho scelto quello che per me è uno dei ricordi che non vorrei mai perdere. Ricordare definisce, il ricordo è conoscenza.
Ricordo che, da piccola, aiutavo mia madre a preparare le polpette. Ricordo gli ingredienti ben disposti sul piano della cucina e la meticolosità con cui mamma mi insegnava ad amalgamarli insieme e dare loro una forma piccola e tonda.
Per quanto provassi all’epoca e per quanto provi adesso, le mie polpette non sono mai uguali. Fossero uguali e perfette, rasenterebbero l’infinito e la società descritta ne Il corpo dei ricordi.
Se per un momento tutti noi ci facessimo polpette, capiremmo per certo come la mano che ci ha modellato non potrà mai ripetersi due volte. Ogni increspatura sulla nostra carne, ogni avvallamento, è qualcosa di unico e strettamente nostro. Siamo polpette più o meno salate, più o meno impregnate di sugo. Magari con più mollica che manzo, piene di formaggio o con la cipollina scottata dentro. Ma tutte polpette.
Diverse e buonissime.
di rientro
lo so, immagino.
Vi ero mancata. Confesso che a me, dedicare al sugo le sue ore di cottura con trentadue gradi all’ombra, no.
Per omaggiare Il corpo dei ricordi, inizialmente avevo pensato a piatto qui. Questo era quanto cucinava la mia coinquilina bolognese per le nostre serate insieme, ed è diventato ricordo condiviso perché la ricetta è passata di padella in padella, fino a diventare il primo ricordo romantico di una coppia.
Successivamente, si sa, la mamma è sempre la mamma, e non potevo non pensare a lei in un libro dove gli insegnamenti di una madre sono le basi di una vera e propria presa di coscienza. E così le polpette hanno portato a tavola un pezzo di storia della mia famiglia, da condividere e far vivere, tutti insieme.