La guerra contro il popolo - Jeff Halper

la guerra contro il popolo e lo spazzolino nel water

La guerra contro il popolo – Israele, i palestinesi e la pacificazione globale (click) è un saggio di Jeff Halper di argomento abbastanza chiaro, pubblicato da Edizioni Epoké.
Il suddetto Jeff Halper è un antropologo americano che vive in Israele dal 1973, e che ha reso il conflitto israelo-palestinese il cuore pulsante della sua attività. No, non è una lezione di storia, tranquilli miei lettori con il conta-calorie, anche se non posso negare che trattare un tema tanto delicato in questa sede un po’ mi mette in difficoltà.

Dunque, come si affrontano le questioni complicate in maniera semplice? Da questa domanda, il titolo.

Partendo dall’uovo, chiedo: secondo voi, cos’è un antropologo?
L’antropologo, per come io vedo il mestiere, è un occhio vigile sui grandi movimenti all’interno della storia e del presente. Ha bisogno di una vista acuta, perché deve interpretare tutti i più piccoli particolari all’interno di un quadro decisamente vasto. In sostanza, traccia i comportamenti dell’uomo per dirgli poi dove sta andando.

Però, ciò che secondo me rende davvero speciale un antropologo, è il saper comunicare il proprio pensiero su questi movimenti tanto da fare in modo che chiunque di noi riesca a guardare attraverso quel determinato punto di vista anche il proprio quotidiano.

Vediamo un po’.

Sulla nascita dello stato d’Israele, taccio. Sapete tutti com’è nato, vero? E sapete anche che non si è insediato come i migliori vicini, le conseguenze le vediamo drammaticamente ancora oggi.
Quello che Halper spiega ne La guerra contro il popolo è perché il comportamento di Israele nei confronti della Palestina viene tollerato, ovvero: a chi fa bene che quel conflitto ci sia?

Inizialmente la risposta era semplice, prima dell’89 bastava incolpare la Guerra fredda! Israele era uno stato cuscinetto sostenuto dagli Stati Uniti che limitava la presenza sovietica in quell’area. E poi? Cosa succede poi?
E poi succede che il mondo si allaccia da parte a parte, entrano in gioco interessi che non si limitano unicamente all’America e che trovano nella parola ‘globale’ nuove scuse di non interventismo. In pratica, si chiude un occhio perché (fa comodo) c’è il bisogno di salvaguardare un bene più grande.

Ecco, questo mi ricorda gli anni delle mie convivenze bolognesi. Cambiavo frequentemente coinquilini, rigorosamente ragazzi per mantenerci in pari, due a due.
Un bel giorno arrivò colui che per amor di privacy chiamerò Calogero. Calogero sporcava, non puliva, rumoreggiava a tutte le ore e in un paio d’occasioni ha sconfinato la mia personalissima striscia di Gaza usando di nascosto l’olio buono della mia dispensa – quello di casa – per friggere.

(Dico io, l’olio dell’ulivo della campagna di famiglia per friggere!)

Se contiamo poi le asfissianti intromissioni nella mia vita privata e le invasioni barbariche che tenevano me e l’altra coinquilina in camera, oltre il confine, Calogero è stato il mio personale Israele.

Inoltre, il conflitto religioso era ai massimi storici: lui Despacito, io Californication. 

La tolleranza era a zero.
Con l’altra coinquilina cercammo di perorare la nostra causa davanti al padrone di casa, ma niente da fare. Troppo difficile trovare un altro coinquilino maschio, specialmente in quel periodo dell’anno. Poiché i soldi sono soldi, Calogero doveva rimanere.
‘E il quarto coinquilino?’ Direte voi.
Mettiamola così: il quarto coinquilino faceva il cronista.

Tornando a La guerra contro il popolo è chiaro quello che dice Halper: Israele svolge la sua attività semplicemente perché gli viene permesso, perché la sua guerra contro la Palestina è subordinata a interessi più grandi.
Quali sono questi interessi, secondo Halper? Semplice: l’intera situazione è un esperimento. I Paesi semplicemente osservano quella che è la politica di Israele non soltanto nei confronti dei palestinesi, ma anche dei propri stessi cittadini!

Ne La guerra contro il popolo viene elaborato il concetto di ‘matrice di controllo’, ovvero tutti gli strumenti più o meno velati che Israele utilizza per fomentare la paura sociale all’interno dei propri territori trasformandola in paura dell’altro da un verso, disgregazione dello stesso popolo israeliano dall’altro.

Quali sono questi strumenti? Uno, il più potente: la diplomazia delle armi.
Le armi garantiscono alleanze più o meno durature con i Paesi circostanti e una schiacciante supremazia israeliana, specialmente dopo il ritiro americano dall’Iraq (sì, le armi vengono da lì – dice Halper). Sono anche simbolo di indipendenza, da quando Israele ha avuto il permesso di lavorare a una propria industria bellica che la stessa America osserva con una certa gola. Siamo davanti a un esperimento, un esempio.

Come poteva non ritorcersi sul popolo, tutto questo?

L’avanzata capacità tecnologica di Israele e la ricchezza dei suoi commerci anche in Europa permette allo stato di esercitare direttamente sulla popolazione un ferreo controllo sicurocratico in materia di polizia e attività di sorveglianza. Conseguenza? Nessuno si sente più libero, o al sicuro, la diffidenza è dilagante e ci si affida al sistema perché lo si teme, anche se di fatto ci sta dichiarando guerra.

Il conflitto con la Palestina è logorante, permette a Israele di esercitare il diretto controllo sui propri abitanti fomentando il concetto che ‘nessuno è protetto a meno che’.

Un po’ come non mi sentivo al sicuro io, a casa mia, con Calogero che mi aveva invasa al punto da farmi dichiarare guerra.

Insomma, vi ho parlato un po’ di La guerra contro il popolo per quello che io ho compreso. Chiedo venia in anticipo, se questo articolo verrà mai tradotto e presentato all’autore.

Per spezzare un po’ il tono drammatico e ‘saggistico’ del saggio, posso concludere la storia di Calogero e dire che io e l’altra coinquilina abbiamo combattuto fino a raggiungere i livelli più bassi di noi.

Esatto, la seconda parte del titolo. Ogni sera prima di andare a dormire un bel giro completo lì, dove si annidano i germi.
La guerriglia è continuata finché la permanenza di Calogero in casa non si è naturalmente conclusa, vi lascio fantasticare sulle modalità con cui si svolse la separazione.

Come abbiamo festeggiato io, l’altra coinquilina e il cronista?
Con un virtuoso esempio di cooperazione internazionale: cucinando insieme.

 

Confesso, è difficile abbinare un piatto a un libro così denso, letteralmente fitto. Non avrei saputo mettere a tavola qualcosa che potesse rappresentare l’orrore reale, l’indifferenza. O forse sì, forse avrei dovuto semplicemente andare in un fast food di nota catena e fotografare il menù, ma sono a dieta e comunque, qui c’è scritto che buono o cattivo, è tutto frutto delle mie mani.

Per questo ho deciso di legare la vista dell’antropologo, quello che vede lontano, a una piccola guerra a me tanto vicina. Perché l’antropologia è bella quando aiuta a vedere il presente con gli occhi degli altri.
A me, forse, è toccato giusto il compito di parlare in maniera più semplice, per fare da ponte con qualcosa di complesso.

Dunque, ho rivisitato il piatto della liberazione: non orecchiette, ma tagliatelle (non all’uovo) con cime di rapa e pane unto grattugiato in superficie.
Stavolta, però, non è importante il piatto quanto quello che il ricordo mi insegna e che al piatto è legato.

Credo si sposi bene con il messaggio di Jeff Halper ne La guerra contro il popolo. La pace è qualcosa che si guadagna con fatica, ma per cui vale sempre la pena lottare. Bisogna prestare attenzione a chi cerca di non far vedere il positivo nel prossimo e ti tiene fermo con lo spauracchio del controllo.

Bisogna mettere da parte i propri interessi e lavorare insieme.
D’altro canto, il pranzo è più buono se ognuno ci mette qualcosa di suo.

 

offertorio
se volete regalarmi una bottiglia d’olio buono, ricordo che la cucina letteraria di #readEat non chiude mai.
Per un altro articolo sul genere, rimando all’intervista con Laura Tangherlini.

 

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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