la ricetta della felicità

Da piccola, i migliori sabati erano quelli a casa della nonna. Si giocava al teatrino, con i cugini dormivamo tutti insieme nel lettone fingendoci in campeggio. Poi, d’estate, arrivava il momento di preparare il gelato al caffè: nonna snocciolava la ricetta e noi, troppo piccoli per usare l’ascensore e già dannatamente golosi, andavamo su e giù per le scale a seconda delle aggiunte sulla lista della spesa.

Nel suo romanzo, Valentina Acquilino ritrae in maniera certosina una figura di nonna, di quella persona che ti accoglie con l’amore di una madre ma senza i suoi obblighi educativi, sempre con un gioco da proporre e che, chissà come, sembra capire tutto solo con un’occhiata.

Una ricetta per la vita è infatti la storia di nonna Aleida, locandiera dalla vista acuta e palato fine che per la sua capacità di descrivere le persone tramite il cibo mi ricorda il sorriso di Juliette Binoche in Chocolat. A narrare la vicenda non è la donna bensì sua nipote, a cui Aleida ha lasciato in eredità degli indizi contenuti nella ricetta di una torta. Ha inizio l’ultimo grande gioco che si trasformerà, per la protagonista, in una vera e propria riconquista di sé stessa, verso la tanto agognata felicità.

Ciò che Valentina fa è analizzare fase per fase il procedimento culinario, sciogliendo un piccolo nodo della storia a ogni passaggio. Così, cucina e lettura vanno di pari passo e quando è il momento di mangiare, si può godere di un finale che è in sé ricordo e promessa di futuro. Sì, come quando stai per dare il primo morso a una torta ancora intatta, ma già puoi immaginarne il sapore sul palato.

I componenti della ricetta sono chiamati ad assolvere un ruolo ben preciso, si mescolano e si trasformano grazie alla mano ferma della protagonista così come i personaggi del libro sotto la guida spirituale di Aleida, che non trascura nessuno: consapevoli o meno, nella storia tutti hanno un ruolo.

Una ricetta per la vita restituisce anche una lezione, tra le più importanti: per onorare una persona che non c’è più, per tenerla vicino al cuore, è necessario offrire al prossimo il bene che abbiamo ricevuto, cercare di creare una catena, un circolo virtuoso. Il ricordo di Aleida è tenuto vivo dalla gente con cui ha vissuto, come un calumet della pace passa dalla nipote ad Armenia, a Don Maurizio, ad Armando.
Probabilmente è proprio questo amore l’ingrediente segreto per la felicità, quello che era presente anche nelle ciotoline di gelato al caffé di mia nonna, da condividere con il resto della famiglia.

Non essendo stagione di gelato, la cucina letteraria di  #readEat – libri da mangiare offre un omaggio alla conoscenza di cui solo una nonna può essere dotata, quella conoscenza che rasenta livelli biblici, direttamente dall’albero del Bene e del Male: mele.

Perché? Aleida tutto conosce, tutto vede e tutto sa. Ha programmato ogni avvenimento dalla prima all’ultima pagina, e non c’è bisogno di fare altro che ammettere di essere nudi quando si decide di fare il suo gioco, di mangiare dall’albero della conoscenza e acquisire consapevolezza di sé.

L’albero tanto caro all’Eden non ha braccia che possano circondare, però, non ha una voce dolce in grado di dare buoni consigli. Aleida non poteva essere soltanto una mela, ma doveva acquisire nuova forma e nuovo calore. Dunque, forma e calore hanno dato vita a un dolce dal sapore delicato del frutto e leggermente vanigliato, una torta da gustare calda e fragrante, immaginando una locanda e una bambina, felice nell’abbraccio di sua nonna.

 

sad story short

C’è da precisare che la buonanima di mia nonna era una grande fan del papa e Radio Maria, e che in 90 anni non si è mai persa una messa.
Capimmo solo molto, molto tempo più tardi che quelle ‘dimenticanze’ sulla lista della spesa erano, in realtà, piani ben congegnati.

Editor freelance, lettrice compulsiva, mangiona impenitente. Tra un refuso e una briciola recensisco libri e lavoro con gli autori accanto alle loro storie.

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